Per il Tribunale di Milano vale solo a drenare risorse verso la holding

Di Maurizio MEOLI

Il Tribunale di Milano, nella sentenza del 27 febbraio scorso, ha precisato che l’attività di direzione e coordinamento è legittima se esercitata nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società diretta; nel senso che quest’ultima, nonostante la direzione unitaria della controllante, deve poter perseguire il suo fine proprio di creare valore. Sussiste, invece, responsabilità se l’attività di direzione è esercitata in funzione dell’interesse imprenditoriale esclusivo della controllante o di terzi e in conflitto con quello imprenditoriale della controllata, tanto da arrecare pregiudizio al patrimonio di quest’ultima.

A fronte di ciò, è da ravvisare abuso dell’attività di direzione e coordinamento nella stipulazione, tra controllante e controllata, di un contratto di assistenza e consulenza dal contenuto molto ampio e con previsione di un corrispettivo pari all’1,3% del fatturato consolidato della controllante, in grado di assicurare negli anni alla controllante stessa una remunerazione media, al netto dei costi, del 70% circa. Tali caratteristiche – in combinazione con il fatto che nel medesimo arco temporale la controllata non aveva mai distribuito i pur rilevanti utili – sono da considerare eccessive, ingiustificate e tali da portare a qualificare come abusiva l’attività di direzione e coordinamento, perché solo tesa a drenare risorse finanziarie verso la controllante.

Peraltro, posto che la mancata distribuzione di utili può farsi valere solo in sede assembleare tramite i previsti mezzi di impugnazione, occorre considerare che l’intervenuta insolvenza della controllata, per ragioni non collegabili all’abusiva attività di direzione e coordinamento, interrompe il nesso di causalità tra la perdita di valore della partecipazione del socio di minoranza e la condotta illegittima della controllante.

Inoltre, l’azione di responsabilità ex art. 2497 c.c., da parte di un socio della società controllata, nei confronti della società controllante, ove sia questa ad essere dichiarata insolvente e ad essere posta in amministrazione straordinaria, diviene meramente strumentale alla domanda di condanna e di insinuazione al passivo della procedura; pertanto va proposta nell’ambito della procedura stessa, ex artt. 93 e ss. del RD 267/1942, alla quale partecipano tutti i creditori. Tuttavia, ove l’azione sia esperita anche contro gli amministratori della controllante, resta ferma la cognizione del Tribunale sull’accertamento della fattispecie, ma in via meramente incidentale, come necessario passaggio logico-giuridico per decidere le domande di condanna degli amministratori ex art. 2497 comma 2 c.c.

Ai sensi dell’art. 2497 comma 4 c.c., poi, nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l’azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario.

Il dato letterale, che si riferisce alla sola azione dei creditori sociali, e non anche a quella dei soci, non è superabile alla luce dei criteri interpretativi di cui all’art. 12 preleggi c.c. La differenza ontologica delle posizioni, dei soci e dei creditori, tutelate dall’art. 2497 c.c., non consente di estendere la disposizione, relativa alla azione di responsabilità dei creditori (azione di massa dopo il fallimento), all’azione di responsabilità dei soci.

Nel caso in cui anche la società eterodiretta agisca contro la controllante ed i suoi amministratori, e tra essi intervenga una transazione, questa non necessariamente opera quale riparazione anche nei confronti del socio della società eterodiretta, facendo cessare la sua legittimazione e/o interesse ad agire.

L’azione proposta dalla società eterodiretta verso la controllante, infatti, non è tecnicamente sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 2497 c.c. (cfr. Trib. Milano n. 2575/2016).
L’azione ex art. 2497 c.c. del socio di minoranza o dei creditori, inoltre, sarà infondata se la pretesa azionata dalla controllata stessa verso la controllante sarà tale da garantire il soddisfacimento dell’interesse specifico dedotto in giudizio dal socio di minoranza o dai creditori per i danni da loro lamentati. Si tratta, però, di questione di fatto da verificare di volta in volta. In particolare, dal momento che i pregiudizi in questione non sono del tutto sovrapponibili, con automatico assorbimento del danno indiretto del socio di minoranza nel soddisfacimento di quello fatto valere dalla società controllata – la reintegrazione del patrimonio di quest’ultima, cioè, può anche non comportare in fatto l’eliminazione totale del pregiudizio (indiretto) alla redditività e al valore della partecipazione del socio lesi dalla condotta illegittima della controllante – occorre che il conseguimento di tale utilità da parte del socio sia specificamente allegata e dimostrata.

Diversamente, infatti, si rischierebbero effetti estintivi della responsabilità della controllante per il tramite di “indebite collusioni transattive” con la società eterodiretta ai danni dei soci della prima, considerando che – a differenza di quanto previsto dagli artt. 2393 comma 6 e 2476 comma 5 c.c. – la rinuncia all’azione risarcitoria da parte della società eterodiretta verso la controllante non soggiace ad alcun quorum di minoranza.