Non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato
Una sentenza depositata ieri ha fornito l’occasione alla Corte di Cassazione per tornare su alcuni principi inerenti i delitti di riciclaggio e di autoriciclaggio.
In particolare, la pronuncia n. 42052/2019 si è soffermata sui rapporti tra queste due fattispecie – previste rispettivamente dagli artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p. – nonché sui rapporti tra le stesse e i reati presupposto da cui origina il profitto illecito da riutilizzare.
Il caso originava da un sequestro preventivo, funzionale alla confisca diretta ovvero per equivalente, in relazione al profitto del concorso in autoriciclaggio, nonché di concorso in riciclaggio per diversi soggetti indagati.
Innanzitutto, viene ribadito che il soggetto che, non avendo concorso nel delitto presupposto non colposo, pone in essere la condotta tipica o contribuisca alla realizzazione da parte dell’autore del reato prodromico delle condotte indicate dall’art. 648-ter.1 c.p., risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio essendo questo configurabile solo nei confronti del c.d. intraneus, cioè dello stesso soggetto che ha posto in essere il reato presupposto.
In ordine al grado di specificità con il quale deve essere individuato il delitto presupposto sia del delitto di riciclaggio che di autoriciclaggio, viene evidenziato come sia senz’altro dominante l’orientamento (formatosi in relazione al delitto di ricettazione di cui all’art. 648 c.p.) per il quale questo non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso. In altre parole, l’accertamento della responsabilità non richiede l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche.
Tale affermazione viene sintetizzata nel principio di diritto per cui, in materia di riciclaggio e autoriciclaggio, non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo, e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza; in difetto, venendo meno uno dei presupposti, l’imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste.
Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, da tale principio è derivata la considerazione per cui la circostanza che alcuni degli indagati non fossero ancora oggetto di indagini preliminari, mancando la necessaria iscrizione nell’apposito registro delle notizie di reato, o che comunque per alcuni di essi pendessero mere indagini preliminari, senza alcun più cogente accertamento di configurabilità, non impedisce di accertare incidentalmente la configurabilità dei reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p. (per lo meno per quanto attiene all’ammissibilità della misura cautelare del sequestro preventivo).
Da ciò deriva anche il fatto che l’eventuale estinzione (per prescrizione) di taluni dei reati-presupposto resta priva di effetti sulla configurabilità delle condotte “riciclatorie”.
Con specifico riferimento alla fattispecie di riciclaggio si ricorda, nelle motivazioni, come questo sia un reato a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive; il che comporta che integra di per sé un autonomo atto, qualsiasi trasferimento di beni a qualunque titolo, a soggetto diverso da chi ne sia effettivamente titolare.
Venendo, poi, ai presupposti del sequestro preventivo funzionale alla confisca, i giudici di legittimità affermano che il provvedimento cautelare ablativo può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma non può complessivamente eccedere nel quantum l’ammontare del profitto complessivo; e ciò perché il sequestro preventivo non può avere un ambito più vasto della futura confisca.
Né tale principio viene meno in considerazione del fatto che, nel caso in esame, alcuni coindagati rispondono del delitto di riciclaggio, mentre altri del delitto di autoriciclaggio, poiché tali imputazioni attengono alle medesime vicende fattuali, e la diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte “in senso lato” concorrenti dipende unicamente dalla qualifica soggettiva (non ascrivibile a tutti gli indagati) di concorrente o non concorrente nei reati-presupposto.