È necessario valutare le concrete possibilità di realizzo del credito e la tempistica per il soddisfacimento dei creditori

Di Antonio NICOTRA

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24948, depositata ieri, ha stabilito che, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 del RD 267/42, la valutazione del giudice, che, quando la società versa in stato di liquidazione, è diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano il soddisfacimento dei creditori sociali, deve tenere conto anche delle concrete possibilità di realizzo e della relativa tempistica, non essendo una questione secondaria, ma sottoposta al giudizio motivato del giudice, l’esistenza di un ritardo spropositato nella realizzazione del credito.

Nel caso di specie, la società ricorrente lamentava che la Corte d’Appello, nel respingere il reclamo proposto ex art. 18 del RD 267/42 dalla stessa avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, avrebbe violato i principi relativi all’accertamento dello stato di insolvenza relativamente alle società che versano in stato di liquidazione, per le quali, invece, sarebbe stata necessaria unicamente la verifica in ordine alla valutazione degli elementi attivi e alla possibilità di impiego degli stessi per il soddisfacimento integrale dei creditori sociali.

Affermando l’irrilevanza dell’accertamento della sussistenza dello stato di liquidazione della società, invece, la Corte d’Appello non avrebbe considerato la necessaria distinzione tra l’insolvenza dell’impresa “operativa” e l’insolvenza dell’impresa che, invece, versa in stato di liquidazione.

In secondo luogo, non avrebbe applicato la predetta distinzione alle imprese che, “di fatto”, si trovino stato di liquidazione (non formalizzato).
Inoltre, avrebbe trascurato che per tutte le imprese in liquidazione (anche quelle non formalizzate) troverebbe applicazione il criterio della valutazione della consistenza delle attività, poste in raffronto con quella delle passività.
A tali imprese, infine, non dovrebbero applicarsi le regole previste per le imprese operative, ivi incluso il rilievo della disponibilità del credito, delle risorse liquide e della facile e tempestiva monetizzabilità dei cespiti.
Il giudice del reclamo non avrebbe, quindi, verificato l’effettivo stato di liquidazione della società debitrice, ritenendolo irrilevante e avrebbe, invece, applicato i principi valevoli per le società operative che non versano in liquidazione.

La Suprema Corte rammenta, in primo luogo, di non avere mai esaminato il tema della verificazione dello stato d’insolvenza delle società che versino in liquidazione di fatto e quello dell’assimilazione di tale tipo di imprese con quelle che versano in un deliberato stato di liquidazione.

La recente giurisprudenza, invece, ha precisato che, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 del RD 267/42, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori (previa realizzazione delle attività) e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è richiesto che essa disponga, come avviene per la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (cfr. Cass. nn. 19414/2017, 25167/2016 e 6658/2018).

In disparte la questione dell’assimilabilità delle società che si trovino in stato di liquidazione de facto rispetto a quelle che abbiano specificamente deliberato tale stato (questione che – tuttavia – non è stata oggetto di reclamo e sulla quale, quindi, la Corte d’Appello non si è espressa), precisa la Suprema Corte che la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 del RD 267/42, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali anche tenendo conto delle concrete possibilità di realizzo e della relativa tempistica, non essendo secondaria la questione dell’esistenza di un ritardo spropositato nella realizzazione del proprio credito.

Di recente, tra l’altro, la Cassazione n. 18137/2018 ha stabilito che, ai fini della valutazione dello stato di insolvenza, l’accertamento degli elementi attivi del patrimonio sociale, idonei a consentire l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali, non può prescindere dalla valutazione della concretezza e attualità degli stessi.