Esame di legittimità per la trasparenza fiscale senza redditi percepiti

Il socio accomandante può non avere avuto, pur essendosi attivato, alcuna informazione

Di Alfio CISSELLO

Per effetto dell’art. 5 comma 1 del TUIR, i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Si ricorda che, nelle società di persone, anche per i soci accomandanti è assolutamente irrilevante, ai fini della tassazione, l’effettivo percepimento del reddito, che viene attribuito mediante trasparenza in ragione di una presunzione assoluta.
Presunzione che, essendo come appena detto assoluta, non ammette prova contraria: ergo, il socio deve assoggettare a imposizione, pro quota, il reddito prodotto dalla società anche se, per qualsiasi ragione, non lo ha percepito. O meglio, e questo è l’aspetto dirimente: deve tassare il reddito anche se oggettivamente non è stato reso edotto del reddito che la società stava producendo.

Tale presunzione legale assoluta, da sempre, ha posto dubbi di costituzionalità, ragion per cui la Commissione tributaria provinciale di Genova, con l’ordinanza 148 del 22 gennaio 2019 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale Corte Costituzionale n. 40 di ieri) ha sollevato la questione.

Giova in primo luogo considerare che, esaminando l’ordinanza di rimessione, non viene sospettato di incostituzionalità il regime di trasparenza fiscale nel suo complesso, ma il fatto che l’imputazione reddituale avvenga pure se il socio, specie se accomandante, abbia fatto tutto il possibile per ottenere informazioni sull’andamento sociale.

Nel caso di specie, da un lato, la società, pur essendo attiva, non aveva presentato alcuna dichiarazione reddituale (essendo così stata sottoposta ad accertamento induttivo extra-contabile); dall’altro, il socio accomandante aveva ricevuto l’avviso sul reddito di partecipazione pur avendo fatto il possibile per essere informato delle attività sociali.

Risulta dimostrato che, addirittura, aveva ottenuto, ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, un provvedimento d’urgenza “ricognitivo della indisponibilità del socio accomandatario a fornire all’accomandante le notizie (e le utilità economiche) che quest’ultimo avrebbe avuto pieno diritto di ottenere (e di conseguire)“.

Così inquadrato l’argomento, a nostro avviso sussistono tutti i presupposti per un serio vaglio sulla costituzionalità della norma.
Del resto (ma di questo aspetto l’ordinanza non parla) non si sta affermando che il reddito che, per trasparenza, dovrebbe imputarsi all’accomandante debba sfuggire a tassazione, ma che, in una situazione come quella descritta, magari questo reddito andrebbe imputato a chi ne risulta l’effettivo possessore (ad esempio, al socio accomandatario) e, nel contempo, ha occultato o reso difficile o quasi impossibile l’accesso alla documentazione sociale agli altri soci.

Il socio accomandante, come anticipato, aveva dimostrato di essersi attivato presso il giudice civile, per visionare la documentazione contabile e fiscale.
Nell’ordinanza di rimessione si richiamano l’art. 24 della Costituzione (diritto di difesa, violato in quanto il socio non può dimostrare di non avere percepito il reddito) e l’art. 53 sulla capacità contributiva.

Oltre a ciò, potrebbe pure entrare in gioco l’art. 3 sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, “in quanto i soci di società di persone, pur non avendo conseguito alcun reddito, sono soggetti ad imposizione rispetto agli altri soggetti egualmente privi di reddito che ne sono invece esclusi”.

In giurisprudenza la questione è emersa sotto il profilo sanzionatorio, ambito in cui, essendo necessaria la colpa, non vi è ragione di “scomodare” la Costituzione.
La Corte di Cassazione, diverse volte, ha sancito che l’infedele dichiarazione, per il socio, non si configura in modo automatico, ma solo in presenza di colpa, che “consiste nell’omessa attivazione dei poteri di controllo attribuitigli dalla legge nei rapporti societari” (Cass. 19 novembre 2007 n. 23864, Cass. 12 marzo 2002 n. 3539).

2019-10-03T07:17:06+00:00Ottobre 3rd, 2019|News|
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