La confisca per equivalente prescinde dal nesso pertinenziale e può avere a oggetto anche beni acquisiti molti anni prima della commissione del reato

Di Maria Francesca ARTUSI

In materia di confisca per equivalente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto da tempo occasione di affermare che tale misura è volta a superare gli ostacoli e le difficoltà per l’individuazione dei beni in cui si “incorpora” il profitto iniziale, nonché a ovviare ai limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego.
Ciò comporta che la stessa confisca per equivalente alla quale è funzionale il sequestro preventivo possa riguardare – a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’art. 240 c.p., che può avere a oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato – beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato (cfr. Cass. SS.UU. n. 41936/2005).

La ratio dell’istituto è, dunque, quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. SS.UU. n. 26654/2008).

La stessa Corte Costituzionale ha più volte chiarito che, con l’espressione confisca di valore o per equivalente, si indica una particolare misura di carattere ablativo che il legislatore appronta per il caso in cui, dopo una condanna penale, non sia possibile eseguire la confisca in forma specifica ossia la c.d. confisca diretta dei beni che abbiano un “rapporto di pertinenzialità” con il reato; cosicché, mentre la confisca diretta assolve a una funzione essenzialmente preventiva, perché reagisce alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di beni che, derivando dal reato, ne costituiscono il prodotto, il prezzo o il profitto (nei reati tributari rilevano soltanto le ultime due tipologie di vantaggio illecito), la confisca per equivalente, invece, colpisce beni di altra natura, che non hanno alcun nesso pertinenziale con il reato, palesando perciò una connotazione prevalentemente afflittiva e ha, dunque, una natura eminentemente sanzionatoria (Corte Cost. nn. 301/2009 e 97/2009).

Tali principi sono stati tutti ripresi dalla Cassazione nella sentenza n. 40071, depositata ieri, per confermare la correttezza dei provvedimenti adottati dai giudici di merito.
Si trattava qui di un caso in cui era stato disposto il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta del profitto del reato di omesso versamento IVA, ai sensi dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, delle disponibilità liquide di una spa per un importo di 892.354 euro, e in subordine, in caso di impossibilità di procedere al primo, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, fino a concorrenza del valore del profitto, sui beni mobili e immobili del legale rappresentante della medesima società.

La difesa lamentava, in proposito, che il sequestro era stato eseguito anche su beni immobili dell’indagato acquistati molti anni prima della commissione del reato: secondo tale impostazione, il giudice avrebbe erroneamente applicato l’art. 12-bis del DLgs. 74/2000 – norma introdotta dal DLgs. 158/2015 per disciplinare la confisca per i reati tributari – ritenendo che l’assenza di qualsivoglia nesso pertinenziale tra il bene, estraneo al profitto, e il profitto indichi la totale indifferenza del momento in cui il bene diverso è entrato nella disponibilità dell’indagato rispetto a quello in cui il reato è stato commesso.
In altre parole, secondo la tesi del ricorrente, la tipicità del reato impone anche il collegamento temporale con la fattispecie contestata, come emergerebbe dall’uso della parola “tale” nel comma 1 del citato art. 12-bis (“… è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”).

La sentenza in commento ricorda anche come sia stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla disposizione appena richiamata per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui consente la confisca e, quindi, il sequestro di valore nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica per il solo fatto che non sia possibile eseguire quello, diretto, del profitto di reato nei confronti dell’ente, in quanto la confisca, per la sua natura sanzionatoria, trova fondamento nella mera realizzazione del fatto di reato in cui si sostanzia la condotta della persona fisica realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente (Cass. n. 46973/2018).