La percentuale poco sopra allo studio di settore blocca l’accertamento

Un discorso simile dovrebbe valere per gli OMI

Di Alfio CISSELLO

L’accertamento basato sulle percentuali di ricarico non può ritenersi fondato nella misura in cui il contribuente risulti aver applicato un ricarico pari all’87%, quando lo studio di settore dell’attività svolta prevede un ricarico che può essere dal 74% al 224%.
Questa è la conclusione a cui giunge la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24300 depositata ieri.

I giudici precisano poi che, nonostante si tratti di ricarico poco sopra al minimo, rientra comunque nell’ambito dello studio di settore, “ove la percentuale massima è il triplo della minima, tanto da non poter costituire, ex se solo, indizio sufficiente per sostenere la ripresa a tassazione”.

Nel caso di specie, gli indici di coerenza risultavano rispettati, tranne uno che si discostava di appena il 10%.
Il principio menzionato si palesa molto interessante: sebbene l’essere congrui e coerenti con gli studi di settore non ponga al riparo da accertamenti (salvo il regime premiale ex art. 10 commi 9 e 10 del DL 201/2011, che, per talune categorie di contribuenti, rappresenta uno scudo dagli accertamenti presuntivi in generale), comunque il contribuente deve poter porre su di essi un certo affidamento.

Se egli applica un ricarico che è all’interno dello studio di settore, non dovrebbe poter subire un accertamento basato proprio sulle percentuali di ricarico.
Gli studi di settore, infatti, sono pur sempre metodi di determinazione presuntiva dell’imponibile elaborati dall’Amministrazione finanziaria, che ritiene “accettabili”, tra l’altro, determinate percentuali di ricarico sui beni.
Se una data percentuale è ritenuta tale dall’Erario, allora il contribuente la deve poter applicare senza rischiare accertamenti basati su una percentuale più alta.

Certo, in casi come quello di specie lo studio prevedeva una forbice ampia, dal 74% al 224%.
L’aver applicato un ricarico prossimo al minimo può essere un “campanello di allarme” per gli uffici, che potranno sottoporre ad accertamento il contribuente utilizzando altri criteri.
Si vede, sull’argomento, anche la sentenza della C.T. Prov. Alessandria 28 luglio 2011 n. 74/3/11, che, nell’affermare in sostanza lo stesso principio della sentenza di ieri, aggiunge che gli studi di settore costituiscono un metodo di determinazione dell’imponibile più sofisticato rispetto alle percentuali di ricarico, per cui la situazione di congruità del contribuente deve essere vagliata dal giudice.

Un discorso simile, a nostro avviso, potrebbe valere per gli OMI, che sono tuttora parametri legali per l’individuazione del valore degli immobili.

Nel momento in cui il contribuente, in atto, dichiara un valore coerente con gli OMI, desta davvero perplessità un successivo accertamento dell’Ufficio effettuato su base presuntiva.

2019-10-01T07:55:00+00:00Ottobre 1st, 2019|News|
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