Tale figura nell’ambito del procedimento di prevenzione reale è legittimata a impugnare la misura cautelare reale nell’ipotesi di fallimento già dichiarato

Di Maria Francesca ARTUSI

Di recente si è detto che la Cassazione – la n. 37638/2019 – ha voluto tenere conto dell’art. 320 del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (DLgs. 14/2019) nell’affrontare il tema della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare un provvedimento di sequestro preventivo disposto dopo la dichiarazione di fallimento di una società (si veda “Il curatore può impugnare il sequestro successivo al fallimento” del 12 settembre scorso).

La norma citata prevede (anzi, prevederà a partire dal 15 agosto prossimo, data in cui entrerà in vigore) che contro il decreto e le ordinanze in materia di sequestro il curatore possa proporre richiesta di riesame, appello e ricorso per cassazione nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale. D’altra parte, l’art. 317 dello stesso DLgs. 14/2019, rubricato “principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi”, sembra obiettivamente estendere la previsione della legittimazione del curatore anche con riguardo alle misure di prevenzione.
Con altra sentenza – la n. 38573 depositata ieri – i giudici di legittimità si soffermano proprio sul procedimento di prevenzione disciplinato dal DLgs. 159/2011.

Tale pronuncia ricorda che la disciplina da prendere in considerazione per regolare le connessioni tra sequestro di prevenzione e fallimento è quella di cui agli artt. 63 e 64 del decreto appena citato: la prima disposizione riguarda il caso in cui il fallimento sia dichiarato dopo il sequestro di prevenzione, mentre la seconda riguarda l’ipotesi opposta.
Il nodo da sciogliere riguarda la legittimazione a impugnare il sequestro di prevenzione da parte del curatore fallimentare: figura – quest’ultima – che sfugge alla assimilazione, sulla scorta degli artt. 27 e 10 del DLgs. 159/2011, con coloro che in tali norme sono indicati come gli interessati (il proposto ovvero i proprietari o i comproprietari dei beni sequestrati, ovvero coloro che vantano diritti reali o personali di godimento o diritti reali di garanzia sui beni oggetto del sequestro).

Nel caso di specie, la corte territoriale ne aveva tratto spunto per concludere che il curatore del fallimento non rientra in nessuna di tali categorie, non rappresenta il fallito o i creditori e, avendo compiti di gestione del patrimonio fallimentare, non può agire in rappresentanza dei soci della società fallita, né di maggioranza né di minoranza. Ciò corrisponde a quanto enunciato, fra le altre, dalla Cassazione n. 42469/2016, secondo cui il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, emesso anteriormente alla dichiarazione di fallimento di un’impresa in quanto non è titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni.

Il curatore è, infatti, un soggetto che al momento del fallimento diventa titolare di posizioni processuali proprie, poiché subentra in tutte le azioni attive e passive che si rinvengono nel patrimonio dell’impresa fallita.
Come hanno sottolineato, occupandosi delle connessioni fra sequestro preventivo finalizzato alla confisca penale e fallimento le stesse Sezioni Unite n. 29951/2004 e n. 11170/2014, il ruolo di costui, quale emerge dalle fonti del suo potere, dalle finalità istituzionalmente collegate al suo agire e dai controlli che presidiano la sua attività gestoria, esclude che lo si possa ritenere semplicemente come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori, ma piuttosto come organo che svolge una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, incardinato nell’ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato.

In realtà, per la sentenza oggi in commento, proprio la combinazione fra la disciplina degli artt. 63 e 64 del DLgs. 159/2011, come modificati dal DLgs. 161/2017, e la novità costituita dalla autonoma appellabilità del sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione, permette di distinguere la figura del curatore fallimentare nell’ambito del procedimento di prevenzione reale rispetto a quella che esso riveste in procedimenti similari, e di riconoscergli la legittimazione a impugnare la misura cautelare reale nell’ipotesi di fallimento in precedenza già dichiarato.

Se in verità la confisca di prevenzione interviene in modo definitivo sui beni colpiti da una procedura esecutiva e dal fallimento, trasferendo al giudice delegato la competenza a decidere sui crediti dei terzi (secondo quanto previsto dagli artt. 52 e ss. del DLgs. 159/2011), il caso in esame attiene, invece, al sequestro. Quest’ultimo, in quanto misura di cautela, e quindi provvisoria, può anche essere in tutto o in parte revocato o annullato, facendo con ciò recuperare al curatore, nel coordinamento con gli altri organi del fallimento, la potestà gestoria sui beni della massa fallimentare.