L’estensione delle nuove norme sul piano attestato di risanamento sarebbe circoscritta ai soli fini concorsuali e non anche a quelli tributari
L’art. 19 comma 4 del DLgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, c.d. CCII), in vigore dal 15 agosto 2020, in attuazione della L. 155/2017, stabilisce che l’accordo di soluzione concordata della crisi, raggiunta con i creditori, “produce gli stessi effetti degli accordi che danno esecuzione al piano attestato di risanamento e, su richiesta del debitore e con il consenso dei creditori interessati, è iscritto nel registro delle imprese”.
Il richiamo è, pertanto, alle conseguenze generate dallo strumento disciplinato dall’art. 56 del CCII, anch’esso applicabile dal 15 agosto 2020, i cui effetti sono essenzialmente riconducibili all’esenzione dall’azione revocatoria, e dall’imputazione di alcuni reati di bancarotta. Sotto il primo profilo, l’art. 166 comma 3 lett. d) del CCII, in vigore dal 15 agosto 2020, stabilisce che non sono soggetti all’azione revocatoria, anche ordinaria, gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento. L’esclusione non opera, tuttavia, in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia.
L’art. 324 del CCII, in vigore dal 15 agosto 2020, dispone, invece, che alcune norme sulla bancarotta fraudolenta e semplice (artt. 322 commi 3 e 323 del CCII) non si applicano, tra l’altro, alle operazioni e ai pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato di risanamento.
La formulazione letterale dell’art. 19 comma 4 del DLgs. 14/2019 sembrerebbe limitare l’applicazione all’accordo di composizione assistita dei soli effetti del piano attestato di risanamento previsti dal Codice della crisi. Non sarebbe, pertanto, invocabile l’operatività delle agevolazioni fiscali previste per le sopravvenienze attive da riduzione di debiti, che verrebbero assoggettate alle regole ordinarie, con conseguente imponibilità in sede di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi del comma 1 dell’art. 88 del TUIR, non ricorrendo formalmente i presupposti di detassazione di cui al successivo comma 4-ter.
I creditori potrebbero emettere la nota di variazione IVA, la cui recuperabilità dell’imposta sarebbe, tuttavia, soggetta al vincolo dell’emissione del documento di rettifica entro l’anno dall’effettuazione dell’operazione, a norma dell’art. 26 comma 3 del DPR 633/1972, non risultando soddisfatte le condizioni previste dal precedente comma 2.
Non si porrebbero, invece, particolari problematiche con riguardo alle perdite sofferte dai creditori, comunque deducibili dal reddito d’impresa, sussistendo gli “elementi certi e precisi” di cui all’art. 101 comma 5 del TUIR: analogamente, ai fini IRAP, le sopravvenienze da riduzione dei debiti sarebbero, in ogni caso, escluse dalla base imponibile del tributo regionale, sia per le società di capitali (art. 5 del DLgs. 446/1997) – in quanto iscritte nella voce C)16)d) del Conto economico (OIC 12, § 91) – che per i soggetti IRPEF (art. 5-bis del DLgs. 446/1997).
In attesa di un auspicato intervento del legislatore fiscale, teso a coordinare il Codice della crisi con le disposizioni tributarie di riferimento, l’art. 19 comma 4 del CCII – nella parte in cui estende all’accordo di composizione della crisi i medesimi effetti del piano attestato di risanamento – andrebbe inteso, a parere di chi scrive, come rilevante anche ai fini fiscali.
Conseguentemente, le sopravvenienze attive potrebbero essere detassate dal debitore a norma dell’art. 88 comma 4-ter del TUIR, minimizzando il carico fiscale del piano e le uscite finanziarie destinate al pagamento delle imposte, massimizzando la soddisfazione dei creditori. Questi ultimi, nell’ipotesi di falcidia, potrebbero, pertanto, dedurre l’eventuale perdita su crediti (art. 101 comma 5 del TUIR) e recuperare l’IVA sulla parte insoddisfatta, tramite la nota di variazione, senza limiti temporali, ai sensi dell’art. 26 comma 2 del DPR 633/1972. A questo proposito, si osservi che tali disposizioni subordinano i relativi benefici fiscali al requisito della pubblicazione, presso il Registro delle imprese, del piano attestato di risanamento, facoltà riconosciuta dall’art. 56 del CCII, analogamente a quanto previsto, dall’art. 19 comma 4 del CCII, per l’accordo di composizione della crisi.
Una diversa interpretazione, fondata sul dato letterale delle norme sinora emanate, rischierebbe di condurre alla prospettazione di accordi di composizione della crisi che non rappresenterebbero la soluzione migliore per i creditori, a causa della penalizzazione fiscale, contrariamente ai principi generali del CCII. In tal senso, si veda l’art. 4 comma 1 del DLgs. 14/2019, secondo cui il debitore deve, tra l’altro, assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura – anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori – e gestire il patrimonio o l’impresa, durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, nell’interesse prioritario dei creditori.