La Corte di Cassazione conferma che all’atto di dotazione manca qualsiasi trasferimento imponibile
La Corte di Cassazione ribadisce il concetto: l’atto di dotazione di trust, di per sé, non configura il presupposto impositivo per l’applicazione proporzionale nè dell’imposta sulle successioni e donazioni né dell’imposta di registro, né delle imposte ipotecaria e catastale, in quanto il trasferimento a favore del trustee è comunque temporaneo e strumentale alla realizzazione degli scopi del trust.
A maggior ragione, tale principio vale per l’atto di dotazione del trust autodichiarato, in cui disponente e trustee coincidono, atteso che in esso “un reale trasferimento è impossibile”.
Questi i principi ricavabili dalla lettura della sentenza n. 22754, depositata ieri.
In larga parte, la pronuncia ripropone le motivazioni delle pronunce della Corte di Cassazione emesse a giugno e luglio (Cass. 21 giugno 2019 n. 16701, 16702, 16703, 16704 e 16705 e Cass. 17 luglio 2019 n. 19167 si veda “Il trust solutorio non arricchisce i beneficiari/creditori” del 18 luglio 2019).
Le conclusioni cui perviene il Collegio sono effettivamente le medesime.
In primo luogo, la Corte rifiuta la tesi (affermata, ad esempio, da Cass. n. 3735/2015) della “nuova imposta sui vincoli di destinazione”, avente autonomo presupposto impositivo, affermando che la “costituzione del vincolo di destinazione”, indicata dall’art. 2 comma 47 del DL 262/2006, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, diversa da quella di successione e di donazione, ma è motivata solo dalla volontà legislativa di precisare che anche l’incremento patrimoniale operato con un vincolo di destinazione sconta l’imposta di donazione.
Quindi, la Corte ricorda che, per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipo-catastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante una attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale.
Tale trasferimento – essenziale per l’imponibilità – è assente nel trust di cui alla L. 364/89 (che ha ratificato la Convenzione dell’Aja del luglio 1985): né l’atto istitutivo, né l’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee configurano, infatti, un trasferimento di ricchezza stabile, in quanto sono, invece, “meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione”.
Solo l’eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo, può realizzare tale trasferimento e configurare, quindi, il presupposto per l’applicazione delle imposte in misura proporzionale.
Nel caso oggetto della pronuncia n. 22754, poi, il trust era autodichiarato, ed erano indicati come beneficiari il disponente stesso (se ancora in vita al momento dello scioglimento) ed i suoi discendenti.
In tale ipotesi – afferma la Corte – un reale trasferimento è impossibile, in quanto contrario al programma negoziale per cui il trust è stato predisposto, che “prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua «segregazione» fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari” (Cass. n. 21614/2016).
La Corte sembra aver abbandonato anche quella posizione “sfumata” (accolta da Cass. n. 19310/2019) che riteneva la tassazione del trust dovesse essere definita “caso per caso”, valutando l’esistenza effettiva di un trasferimento imponibile e la sua “definitività”.
Nella sentenza in commento, infatti, non si operano distinzioni in tal senso e si enunciano principi applicabili in generale ad ogni trust.
L’orientamento della Suprema Corte, in tema di tassazione indiretta del trust, pare, quindi, consolidato, tanto che gli stessi giudici di legittimità affermano che il contrasto sul tema può dirsi, ormai, composto.
Eppure, come già rilevato (si veda “Imposta di successione per immobili in Italia oggetto di trust testamentario” dell’11 settembre 2019), la prassi dell’Agenzia delle Entrate (si veda la risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate 10 settembre 2019 n. 371) sembra ben lontana dal recepire le posizioni giurisprudenziali, atteso che, nelle riposte ad interpello continua ad applicare i “vecchi” principi enunciati nelle circ. nn. 48/2007 e 8/2003.