La determinazione dell’affidamento incolpevole richiede il controllo dell’operazione di finanziamento, da apprezzarsi nel suo complesso

Di Stefano COMELLINI

Con la sentenza n. 35760 depositata ieri, la Cassazione ha precisato che, al fine di determinare la buona fede del terzo creditore, idonea a prevalere sulla confisca di prevenzione, occorre verificare la concreta operazione di finanziamento, da apprezzarsi nel suo complesso, in rapporto al corretto assolvimento all’epoca del fatto – da parte dell’ente erogatore – di tutti i controlli imposti dalle leggi di settore e dalle buone prassi bancarie.

Il ricorso era stato presentato da un istituto bancario avverso il provvedimento giudiziale con cui si era visto negare tutela al credito portato nei confronti di una società poi fallita; credito garantito da ipoteca su immobili riferibili a una persona fisica già coinvolta in procedimenti penali e nei confronti della quale era intervenuta confisca di prevenzione.
Il Tribunale aveva evidenziato che, pur anteriore il credito al sequestro di prevenzione, risultava in atti sia la strumentalità dell’erogazione del credito alla prosecuzione dell’attività illecita (smaltimento di rifiuti) del soggetto datore di ipoteca, sia l’assenza di buona fede della banca. La Cassazione ha fatto proprie le argomentazioni dei giudici di merito rigettando il ricorso.

La disamina normativa su cui si fonda la sentenza in esame ha riguardato gli artt. 52 e ss. del DLgs. n. 159/2011 (Codice antimafia), con cui si è formalizzato quello che la Corte definisce un vero e proprio sub-procedimento, teso, tra l’altro, a regolamentare i criteri di parziale inopponibilità della confisca ai terzi creditori di buona fede (art. 52), tutelare la par condicio creditorum in caso di procedure concursuali (artt. 57 e ss.) ed estinguere il contenzioso civilistico eventualmente in atto, con affidamento esclusivo al giudice della prevenzione del compito di verificare la posizione creditoria sottostante (art. 55).

Si tratta di una disciplina articolata, mossa dall’esigenza primaria di qualificare in diritto le modalità di acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni confiscati in via definitiva (a titolo originario ex art. 45), contestualmente assicurando tutela ai creditori ante sequestro di accertata buona fede (assistiti o meno da diritti reali di garanzia), allo scopo di ridurre le incertezze manifestatesi in passato sul tema e rendere omogenei e prevedibili, nei loro esiti, i contenziosi di notevole impatto economico.

Per la Corte la ratio legis è chiara: l’estinzione di diritto delle garanzie reali (all’atto della confisca) in tanto è possibile in quanto sia contestualmente fornita al titolare del diritto di credito un’adeguata tutela delle sue ragioni. L’art. 52, sui criteri di individuazione della buona fede del creditore, si pone in sostanziale continuità con l’elaborazione giurisprudenziale precedente l’entrata in vigore del Codice antimafia (Cass. SS.UU. n. 10532/2013).

Il riconoscimento dell’“estraneità del credito” a nessi funzionali di strumentalità con l’attività illecita – cui è equiparata la prova dell’ignoranza “in buona fede” di tale strumentalità (ex art. 52 comma 1 lett. b) – deriva, infatti, dai pregressi arresti giurisprudenziali per cui l’“estraneità” del terzo all’altrui condotta illecita fissa il limite al potere statuale di soppressione delle ragioni creditorie, con contestuale riconoscimento di azionabilità della pretesa nei confronti dello Stato, con il limite di “capienza” di cui all’art. 53.

Anche il portato del terzo comma dello stesso art. 52, che fissa le “linee guida” per le modalità della verifica, deriva dai principi espressi dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 9/1999, con cui si era puntualmente evidenziata la necessità per il giudice di evitare approcci generici, valutando l’uso della diligenza richiesta dalla “situazione concreta” in riferimento a quanto addotto dall’instante.
Pertanto, la determinazione dell’affidamento incolpevole richiede il controllo della concreta operazione di finanziamento, da apprezzarsi nel suo complesso, in rapporto al corretto assolvimento all’epoca del fatto – da parte dell’ente erogatore – di tutte le verifiche imposte dalle leggi di settore e dalle buone prassi bancarie.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata là dove ha considerato la possibilità per l’istituto di credito di avvedersi, sin dal momento della erogazione del credito, che la società era in concreto uno strumento utilizzato in un complessivo contesto di illegalità.

L’istituto bancario aveva infatti trascurato di verificare, all’atto della contrattazione, la regolarità edilizia degli immobili su cui andava a iscrivere ipoteca, risultati privi delle prescritte autorizzazioni urbanistiche e paesaggistiche, nonché di considerare la correlazione tra le attività di impresa e quelle proprie del soggetto datore di ipoteca su beni immobili personali, autore di illeciti penali e titolare formalmente di redditi molto inferiori al denaro movimentato sui conti accesi presso quello stesso istituto.
Emergevano, quindi, già all’epoca, indicatori di anomalia trascurati dall’ente erogatore, tali da far ritenere meramente formale la verifica operata in sede di concessione del credito.