Rispetto agli individuali, i professionisti di studi associati e STP hanno redditi molto più elevati e offrono maggiori servizi e specializzazione

Di Savino GALLO

L’aggregazione professionale, non solo nelle forme classiche dello studio associato e delle società tra professionisti ma anche sotto forma di reti e collaborazioni tra studi individuali, rappresenta una “leva strategica di sviluppo” da valorizzare necessariamente per poter stare sul mercato. A ribadirlo è il Consiglio nazionale dei commercialisti che ieri ha pubblicato uno studio, realizzato con la collaborazione della Fondazione nazionale di categoria, sull’organizzazione degli studi professionali.

La ricerca ricorda che aggregarsi conviene, innanzitutto, in termini reddituali. I professionisti che esercitano in studi individuali, spiega nell’introduzione del documento Maurizio Grosso, Consigliere del CNDCEC con delega all’innovazione degli studi, fanno registrare un reddito medio di 49 mila euro (con volume d’affari di 80 mila euro), mentre chi lo fa in forma associata o societaria si attesta sui 125 mila euro, con un volume d’affari che sfiora i 250 mila euro.

Nonostante ciò, solo un professionista su cinque è associato. A fronte di 118.639 iscritti all’Albo e di 97.328 iscritti alle Casse di previdenza, sono stimati poco più di 64 mila studi professionali e circa 238 mila addetti, per una media di 3,7 addetti per singolo studio. Quindi, la maggior parte degli iscritti svolge la propria attività in uno studio individuale (61,3%) e piccolo (nel 71,1% dei casi non vengono superati i 5 addetti tra professionisti, collaboratori, dipendenti e praticanti). Le STP, seppur in costante crescita dal 2015, interessano solo il 2,1% dei commercialisti, mentre gli studi associati sono poco più di 5 mila.

Individuale e piccolo sono, secondo le statistiche del CNDCEC, caratteristiche strettamente correlate tra loro. Gli studi con più di 5 addetti, infatti, sono il 73,4% tra quelli associati e il 14,8% tra quelli individuali. In pratica, “la dimensione dipende fortemente dal grado di aggregazione”.

La tendenza all’individualismo è ormai una costante per i commercialisti ma è comune a tutte le altre professioni e anche a livello europeo si registra una tendenza simile. Oggi, però, a fronte dei tanti cambiamenti intervenuti negli ultimi anni, l’implementazione di una strategia di sviluppo basata sull’aggregazione non sembra più eludibile.

Innanzitutto, per una questione di costi di gestione, sempre più elevati non solo a causa della digitalizzazione ma anche per la più veloce erosione delle competenze. Secondo la ricerca, negli anni ’80 le competenze legate all’attività lavorativa avevano una durata di circa 30 anni. Dal 2010 non si superano i 5 anni. Il bagaglio di competenze che si ha all’ingresso deve essere aggiornato dalle 6 alle 8 volte durante tutta la vita lavorativa, attraverso una formazione che diventa sempre più strategica.

In più, c’è la crescita della concorrenza. Oltre ai tradizionali soggetti con i quali storicamente i commercialisti si confrontano si sono affacciati sul mercato nuovi soggetti, come banche, software house, società dedicate alle pratiche amministrative, che amplificano la complessità del sistema professionale.

Stando alla ricerca, uno studio aggregato ha maggiori possibilità di rispondere a questa complessità. Rispetto allo studio individuale e a quello condiviso, “lo studio associato, oltre a far registrare la dimensione media più elevata, si presenta meglio organizzato, più specializzato e, soprattutto, più focalizzato nelle attività a maggior valore aggiunto della professione”. Sul piano dello sviluppo organizzativo, ad esempio, gli studi associati organizzati per Area Strategica di Affari (ASA) sono il 16,2% contro il 9,8% per gli studi condivisi e il 6,8% per gli studi individuali.

Al crescere dell’aggregazione professionale, inoltre, si riduce la percentuale di studi che dichiara un fatturato proveniente da attività di base superiore all’80% (40% tra gli individuali, 23,4% tra gli associati) e aumenta significativamente, invece, la percentuale di studi che dichiara un fatturato prevalente da attività diverse.

Sembrerebbe esserci, dunque, una “relazione forte tra livello di aggregazione professionale, dimensione dello studio e livello di organizzazione e performance dello stesso”. Così come la diversa propensione alle “economie di specializzazione”, altro aspetto necessario per essere nella condizione di offrire alle imprese clienti quei nuovi servizi che si aspettano di ricevere.

Oltre alle tradizionali forme di aggregazione, però, oggi si può percorrere questa strada anche attraverso la digitalizzazione. Ci si può aggregare, spiega il CNDCEC, anche come “singoli professionisti che da strutture separate dialogano tra loro”. La ricerca contempla diversi livelli di aggregazione: dalla mera partecipazione dello studio ai networking, fino ad arrivare alla condivisione di competenze e addirittura di dati e informazioni, condividendo, in quest’ultima circostanza, i clienti e le loro esigenze. Tutte strade che portano valore aggiunto allo studio, anche in termini di maggiore fidelizzazione dei clienti, messi nella condizione di poter usufruire di una più ampia gamma di servizi.