Vantaggio dell’ente negli infortuni sul lavoro legato al risparmio di spesa

Interesse o vantaggio da ricondurre anche al risparmio dei tempi di lavorazione

Di Ciro SANTORIELLO

Sulla scia della ormai consolidata giurisprudenza successiva alla celebre sentenza delle Sezioni Unite n. 38343/2014 (Thyssenkrupp), la Cassazione, con la sentenza n. 28097/2019, ha ribadito come l’interesse e/o vantaggio della società nei reati colposi sia da ricondurre al risparmio di spesa derivante dal mancato adeguamento alla normativa antinfortunistica e al risparmio di tempo nello svolgimento dell’attività lavorativa, entrambi volti alla massimizzazione del profitto a ogni costo, anche a discapito della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Ai sensi dell’art. 5 del DLgs. 231/2001 l’ente risponde solo dei reati commessi nel suo “interesse o vantaggio”, nozioni diverse (Cass. nn. 10265/2013 e 3615/2005), giacché l’interesse ha un’indole soggettiva, inequivocabilmente riferita alla sfera volitiva del soggetto persona fisica che agisce, per cui la presenza o meno di tale requisito è suscettibile di valutazione, potendosene sostenere la sussistenza nella misura in cui la persona fisica non abbia agito in contrasto con gli interessi della società, mentre la caratterizzazione del vantaggio è prettamente oggettiva e opera ex post, per cui la responsabilità della persona giuridica può sussistere anche laddove il soggetto abbia agito prescindendo da ogni considerazione circa le conseguenze che in capo all’ente collettivo sarebbero derivate dalla sua condotta e sempre che fra le conseguenze del reato possa annoverarsi anche il maturare di un beneficio economico a favore dell’organizzazione collettiva.

La dottrina contesta la compatibilità fra tali criteri e la responsabilità della persona giuridica per i reati di omicidio e lesioni colpose conseguente a violazione della normativa antinfortunistica, ma tale obiezione è respinta dalla giurisprudenza (Cass. nn. 38363/2018 e 2544/2016), secondo cui la sussistenza dell’interesse dell’ente si deve accertare in relazione alla condotta e non all’evento verificatosi, per cui l’interesse può essere correlato anche ai reati colposi d’evento, rapportando i due criteri indicati dall’art. 5 citato alla violazione di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto, mentre l’evento andrebbe ascritto all’ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari.
Non c’è dubbio, infatti, che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell’interesse o a vantaggio dell’ente – allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione – e che l’evento lesivo in sé considerato è semmai controproducente per l’ente, con la conseguenza che “il collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell’ente […] non deve necessariamente coinvolgere anche l’evento, quale elemento costitutivo del reato, giacché l’essenza del reato colposo è proprio il risultato non voluto” (Trib. Novara 1° ottobre 2010).

Quanto poi alla possibilità di rinvenire in capo all’ente un profitto derivante dalla commissione di un reato colposo, questo può essere qualsiasi “vantaggio economico” che costituisca un “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale” che abbia una “diretta derivazione causale” dalla commissione dell’illecito. Tale impostazione non comporta che il beneficio vada individuato nell’utile che il reo trae dalla sua condotta delittuosa né tanto meno che debba tradursi in un accrescimento materiale del suo patrimonio – non è necessario che in conseguenza del reato il responsabile acquisisca la disponibilità di beni o somme di denaro, ulteriori rispetto a quello di cui era già in possesso –, giacché si tratta di nozione comprensiva anche di qualsivoglia utilità che il criminale realizza come effetto anche mediato e indiretto della sua attività criminosa.

Diventa, così, agevole riconoscere che nulla preclude la possibilità di rinvenire un profitto anche in presenza di reati colposi, in specie laddove la condotta si concreti nella violazione della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. In tale ipotesi, infatti, il profitto può individuarsi nel risparmio di spesa inerente l’ammodernamento e la messa a norma degli impianti e più in generale la mancata adozione delle doverose misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni e malattie professionali; dovendosi poi considerare anche il beneficio pervenuto in capo alla società dalla prosecuzione dell’attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza.

Come detto, a tale impostazione si rifà la sentenza n. 28097, la quale peraltro – nella consapevolezza che non tutte le violazioni delle disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro sono riconducibili allo scopo di far conseguire un vantaggio economico all’impresa, ben potendo individuarsi, nella casistica giurisprudenziale, casi in cui gli infortuni si verificano per cause non direttamente riconducibili a una logica di abbattimento dei costi per la sicurezza – motiva anche in ordine alla circostanza che gli addebiti di colpa specifica ascritti nel caso di specie all’imputato persona fisica erano qualificabili come condotte deliberatamente strumentali al conseguimento di un apprezzabile vantaggio per la società, evidenziando come l’infortunio fosse avvenuto a seguito di una illecita modifica di un macchinario per ridurre i tempi di lavorazione e, dunque, i costi di produzione.

2019-07-23T07:30:28+00:00Luglio 22nd, 2019|News|
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