La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte può concorrere con la bancarotta

Di Maria Francesca ARTUSI

La condotta di distrazione rilevante ai fini della bancarotta fraudolenta si perfeziona già nel momento del distacco del bene dal patrimonio della società in decozione, mentre la punibilità del reato e la configurabilità dello stesso sono subordinate alla dichiarazione di fallimento con sentenza del giudice civile. Ciò vale sia per quelle intepretazioni che ritengono il fallimento una condizione obiettiva di punibilità (tra le tante, Cass. n. 2899/2019), sia per quelle che lo ritengano un elemento costitutivo del reato (Cass. n. 40477/2018).
Con la sentenza n. 32018 depositata ieri, la Cassazione richiama il principio espresso anche dalle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 22474/2016) secondo cui i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo ai sensi dell’art. 216 del RD 267/1942 in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.

Non si richiede alcun nesso (causale o psichico) tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività. In altre parole, secondo le citate Sezioni Unite, la condotta assume rilievo con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è posticipata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronuncia giudiziaria, si pone come fatto successivo e comunque esterno alla condotta stessa.

Quanto all’elemento psicologico di tale bancarotta, esso consiste nel dolo generico per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte

Nel caso affrontato dalla pronuncia in commento, viene così precisato che il Tribunale del Riesame – per verificare la correttezza del sequestro preventivo – avrebbe dovuto valutare la sussistenza del vincolo di pertinenzialità degli immobili non già utilizzando come criterio dirimente l’epoca dell’acquisto, escludendo, di conseguenza, dalle condotte distrattive tutti gli immobili gli acquisti dei quali siano intervenuti in data antecedente alla dichiarazione del primo dei fallimenti coinvolti nello schema illegale. Ciò perché – come detto – le condotte di bancarotta prefallimentare sono poste in essere prima del verificarsi formale del fallimento.

Piuttosto si sarebbe dovuta indagare la sussistenza in concreto di un vincolo di pertinenzialità tra i beni immobili in sequestro e le eventuali condotte distrattive realizzate in circostanze temporali coeve o in ogni caso ricollegabili agli acquisti stessi.

Il giudice del rinvio viene, dunque, chiamato dai giudici di legittimità ad accertare la pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro deve caratterizzarsi per una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale.

Si noti che qui veniva contestato anche il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ai sensi dell’art. 11 del DLgs. 74/2000, precisando, tra l’altro, che lo stesso può concorrere con la bancarotta per distrazione.
In proposito, la Cassazione ricorda che il profitto di tale reato tributario coincide con il patrimonio sottratto alla garanzia dell’esazione e non già con il debito tributario evaso (tant’è che per calcolarlo si procede eventualmente alla decurtazione da detto patrimonio delle somme recuperate dal Fisco a seguito delle cessioni di ramo d’azienda e dei versamenti effettuati dall’imputato). Esso consiste, cioè, nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose.
Affermazioni queste che sono coerenti rispetto alla struttura di reato di pericolo della fattispecie di cui al citato art. 11.

La Cassazione conclude perciò che anche in relazione a tale illecito la motivazione del provvedimento andrà ricalibrata rapportando la pertinenzialità degli immobili in sequestro (cioè un’azienda-pizzeria ceduta di volta in volta a società che poi venivano svuotate della loro capacità patrimoniale) al profitto del reato esattamente individuato; tenendo conto del fatto che le Sezioni Unite hanno da ultimo chiarito, con la sentenza n. 31617/2015 che, con riguardo agli immobili, vale la regola secondo cui costituisce “profitto” del reato anche il bene acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo.