Non è indizio di una pratica abusiva il fatto che il bene acquistato non sia ricevuto direttamente da chi emette la fattura

Di Emanuele GRECO

Il diritto alla detrazione IVA può essere disconosciuto, in capo al soggetto passivo che effettua un acquisto di beni in esito ad una serie di vendite a catena, solamente laddove l’autorità tributaria dimostri l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale del quale tale soggetto passivo abbia goduto (o del quale abbiano goduto altri operatori coinvolti nella catena).

Il principio di diritto è stato affermato dalla Corte di Giustizia Ue, con sentenza di ieri, 10 luglio 2019, causa C-273/18, relativa ad un caso in cui un soggetto passivo acquistava beni in ambito intra Ue ritirandoli da un soggetto diverso da colui che aveva emesso la fattura in qualità di “cedente”.

Secondo la Corte Ue, in sintesi, la circostanza che un acquisto di beni sia avvenuto al termine di una catena di operazioni di vendita successive tra varie persone e che il soggetto passivo sia entrato in possesso dei beni in parola nel deposito di una persona facente parte di tale catena, diversa da colui che risulta come fornitore in fattura, non può considerarsi come elemento sufficiente ad attestare l’esistenza di una pratica abusiva.

Al fine di poter disconoscere la detrazione dell’IVA è, infatti, dirimente che l’Amministrazione fiscale fornisca prova della sussistenza di una pratica abusiva e dimostri quale sia l’indebito vantaggio fiscale del quale avrebbe beneficiato il soggetto passivo o altri soggetti coinvolti nell’operazione.

La Corte, anche in precedenti occasioni (cfr. sentenza 17 dicembre 2015, causa C-419/14, punto 36 e giurisprudenza ivi citata), ha dichiarato che l’accertamento di una pratica abusiva, in materia di IVA richiede la sussistenza di due condizioni, vale a dire:
– da un lato, che le operazioni in oggetto, al di là della formale applicazione delle disposizioni in materia di IVA, abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle predette disposizioni;
– dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.

Peraltro, la circostanza che il bene acquistato non sia ricevuto direttamente da chi emette la fattura non è necessariamente la conseguenza di un occultamento fraudolento del reale fornitore e non costituisce necessariamente una pratica abusiva.

Uno schema di questo tipo, come evidenzia la stessa Corte di Giustizia, può avere altre motivazioni, quali, in particolare, l’esistenza di due cessioni successive (art. 14 della direttiva 2006/112/CE) riguardanti i medesimi beni, i quali sono trasportati direttamente dal primo venditore al secondo acquirente, il che determina il realizzarsi di una doppia “cessione di beni” a fronte di un solo trasporto. Inoltre, non è necessario che il primo acquirente sia divenuto proprietario dei beni in parola al momento di tale trasporto, posto che l’esistenza di una cessione ai sensi di tale disposizione non presuppone il trasferimento della proprietà giuridica del bene.

Ulteriore profilo di interesse della sentenza è dato dal fatto che, trattandosi di un’operazione in ambito intra Ue, a seguito del corretto inquadramento dell’operazione effettuato dal giudice del rinvio, potrebbe accadere che l’operazione si qualifichi come cessione intracomunitaria con conseguente assenza di imposta (anche ai fini della detrazione).

In una situazione di questo tipo, se il cessionario ha detratto un’imposta applicata indebitamente, la Corte di Giustizia nuovamente individua le seguenti due soluzioni:
– in primis, la richiesta di restituzione (civilistica) dell’imposta indebitamente assolta in rivalsa al fornitore che ha emesso una fattura errata;
– nella situazione in cui l’IVA sia stata versata all’Erario dal fornitore, l’acquirente potrebbe anche rivolgersi direttamente all’Erario stesso per ottenere il rimborso nella situazione in cui risulti impossibile o eccessivamente difficile ottenere la restituzione dell’IVA dal fornitore o in caso di insolvenza del fornitore medesimo (cfr. sentenza 11 aprile 2019, causa C-691/17).