Contributo causale individuato in predisposizione e inoltro di dichiarazioni con elementi passivi fittizi supportati da fatture per operazioni inesistenti
La partecipazione di un consulente fiscale a un sistematico utilizzo di fatture per operazioni inesistenti nell’ambito di una srl fornisce l’occasione alla Cassazione di precisare alcuni principi relativi al contributo causale e all’elemento soggettivo del concorrente nella commissione del reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del DLgs. 74/2000.
Nel procedimento affrontato dalla sentenza n. 28158 depositata ieri, tale illecito era infatti stato contestato – a fronte di fatture emesse da società riferibili a ditte quasi tutte recanti nomi cinesi e aventi sede nel medesimo territorio – nei confronti degli amministratori di fatto e di diritto, del responsabile del settore amministrativo e contabile e del consulente contabile e fiscale.
Con particolare riguardo a quest’ultimo soggetto, i giudici di legittimità precisano che, sotto il profilo materiale, il contributo causale è individuato nella predisposizione e nell’inoltro delle dichiarazioni fiscali contenenti l’indicazione di elementi passivi fittizi supportati da fatture per operazioni inesistenti, trattandosi di condotte di sicura agevolazione materiale. Inoltre, un’ulteriore forma di contributo, rilevante se non altro come rafforzamento dell’altrui proposito criminoso, è rappresentata nella complessiva attività di supporto per la “sistemazione” documentale di gravi violazioni contabili (nel caso di specie, la preoccupazione di giustificare l’esistenza della merce e la veridicità dei contratti in modo tale rendere attendibili le fatture mendaci registrate in contabilità e utilizzate per le dichiarazioni).
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, di notevolissima forza logica sono gli indizi desumibili, in riferimento a tutte le dichiarazioni fiscali, dalla consapevolezza, da parte del consulente contabile, degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza in ordine alle fatture emesse da quelle stesse ditte a cui sono riferibili le fatture contestate. Inoltre, costui era il consulente fiscale non solo della srl in questione, ma anche di tutte le società facenti capo alla medesima famiglia, alcune delle quali avevano anche sede presso il suo studio; egli era, altresì, preposto a seguire i rapporti con alcune società fiduciarie e curava la predisposizione dei bilanci di esercizio disponendo di un accesso diretto in remoto al sistema informatico della società per ottenere report contabili periodici.
Guardando, invece, alla responsabilità dell’amministratore di diritto, la Cassazione precisa che costui, accettando il ruolo di prestanome – nella piena consapevolezza delle anomale modalità di gestione della contabilità e della predisposizione, ad opera dell’azienda, di falsa documentazione a sostegno della fiscalità aziendale – ha accettato il rischio di sottoscrivere dichiarazioni reddituali fraudolente, omettendo qualunque forma di controllo sull’attività svolta dall’amministratore di fatto.
Da qui deriva l’accertamento del dolo in ordine alla inesistenza delle operazioni documentate nelle fatture utilizzate per predisporre le dichiarazioni fiscali da lui medesimo materialmente sottoscritte e viene anche aggiunto che la congruenza degli elementi esposti dalla motivazione trova ulteriore risalto se si considerano sia la pluralità degli anni interessati dalle pratiche illecite, sia, e soprattutto, gli elevatissimi importi documentati in maniera mendace.
Argomentazioni interessanti vengono spese anche sulla confisca per equivalente dei beni del legale rappresentante. Attesa la natura obbligatoria di tale provvedimento, questo resta subordinato alla impossibilità di disporre la confisca diretta del profitto o del prezzo del reato rintracciabile nel patrimonio della persona giuridica, nonché alla corrispondenza a tale profitto.
Tra l’altro – ricorda la Cassazione – è stata già ritenuta manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 12-bis del DLgs. 74/2000 in cui si prevede che, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dal medesimo decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (Cass. n. 46973/2018).