Dal punto di vista fiscale, la posizione del socio viene a cristallizzarsi al momento della percezione del dividendo
Il diritto del socio a ricevere i dividendi sorge soltanto a seguito della deliberazione assembleare che ne decide la distribuzione ai sensi dell’art. 2433 c.c.
In passato, è stata dibattuta l’individuazione del soggetto cui doveva essere pagato il dividendo, essendo incerto se questo spettasse a chi fosse socio alla data di chiusura dell’esercizio nel corso del quale si sono generati i relativi utili, a chi fosse socio al momento della delibera di distribuzione oppure al soggetto che riveste la qualifica di socio al momento del pagamento.
Attualmente, è pacifico che il dividendo debba essere pagato a coloro che risultano azionisti/soci al momento del pagamento.
Ad ogni modo, si segnala che permane il tema della “titolarità” del dividendo (fermo restando che il medesimo deve essere pagato dalla società a coloro che risultano soci al momento della distribuzione) qualora chi era socio alla chiusura dell’esercizio o al momento della delibera di distribuzione non lo sia più al tempo del pagamento.
Per risolvere questo problema, nel trasferimento di partecipazioni verso corrispettivo, salvo che risulti una diversa volontà delle parti, deve ritenersi compreso nel prezzo anche il dividendo non ancora esigibile, il quale spetta comunque all’acquirente anche se percepito dal venditore.
Passando ai profili fiscali dell’operazione, gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’IRES indicati nell’art. 73 comma 1 del TUIR (società di capitali, enti commerciali, enti non commerciali e società ed enti non residenti) sono imponibili come redditi di capitale in capo ai soci percipienti che non esercitano attività di impresa (art. 44 del TUIR).
Con riferimento al regime impositivo applicabile, la L. 205/2017 ha equiparato la tassazione degli utili qualificati a quella degli utili non qualificati, prevedendo l’applicazione generalizzata della ritenuta a titolo di imposta del 26%. Prima di queste modifiche, i dividendi erano tassati in capo alle persone fisiche (non imprenditori) in caso di partecipazioni qualificate (art. 47 del TUIR e DM 26 maggio 2017):
– nel limite del 40% (utili formatisi fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007);
– nel limite del 49,72% (utili formatisi dopo l’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 e sino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016);
– nel limite del 58,14% (utili formatisi a decorrere nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2017).
Tuttavia, l’equiparazione tra dividendi qualificati e dividendi non qualificati trova applicazione per i redditi di capitale percepiti dal 1° gennaio 2018. Per le distribuzioni di utili derivanti da partecipazioni qualificate deliberate dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022 e formatesi con utili prodotti sino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, invece, è stata prevista un’apposita disciplina transitoria secondo la quale continuano ad applicarsi le disposizioni del DM 26 maggio 2017 sopra illustrate.
Ai fini del regime fiscale applicabile al dividendo percepito, anche in questo caso la posizione del socio viene a cristallizzarsi al momento della percezione del dividendo, a nulla rilevando le eventuali cessioni che hanno preceduto questo momento.
Pertanto, la posizione soggettiva di possessore di una partecipazione qualificata o non qualificata deve essere verificata al momento del pagamento dell’utile e non alla data in cui è avvenuta la delibera di distribuzione del medesimo.
La distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate, quindi, continua ad assumere rilevanza laddove gli utili risultino distribuiti proprio secondo quanto previsto dal regime transitorio.
Le soglie di qualificazione previste per le partecipazioni valevoli per i dividendi sono le medesime di quelle previste per i redditi diversi e sono indicate nell’art. 67 comma 1 lett. c) del TUIR.
In particolare, si considerano qualificate le partecipazioni che conferiscono:
– una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria superiore al 20%, ovvero una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25% (per le partecipazioni in società non negoziate nei mercati regolamentati);
– una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria superiore al 2%, ovvero una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5% (per le società i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati).
Si segnala che la norma fa esclusivo riferimento all’entità dei voti esercitabili in assemblea ordinaria e all’entità della partecipazione al capitale o al patrimonio, mentre a nulla rileva la percentuale di utili che la partecipazione attribuisce al socio.