Per l’estrazione da deposito IVA autofattura elettronica obbligatoria in caso di incremento di valore del bene

Di Luca BILANCINI e Simonetta LA GRUTTA

Per comprendere quale sia l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria in relazione all’eventuale adozione della fattura elettronica per l’adempimento degli obblighi relativi al reverse charge, può essere utile analizzare il testo della circolare 17 giugno 2019 n. 14. Pur non esistendo, nel documento di prassi, alcun riferimento all’utilizzo delle procedure “tradizionali” di integrazione della e-fattura nel reverse interno, a tale conclusione si può giungere, per deduzione, attraverso la lettura dei paragrafi dedicati all’inversione contabile e all’estrazione di beni dai depositi IVA.

Preliminarmente è opportuno sottolineare come l’Agenzia, meglio precisando quanto precedentemente affermato nella FAQ n. 36, pubblicata il 27 novembre 2018, abbia tenuto a chiarire che occorre operare una netta distinzione fra le fattispecie in relazione alle quali i soggetti passivi possono procedere all’emissione di una “autofattura” e quelle in cui è possibile emettere documenti che hanno “funzione e contenuto diverso”.
L’“autofattura”, pur contenendo i medesimi elementi della fattura, se ne differenzia per il fatto che:
– l’emittente è il cessionario/committente, che assolve l’imposta, e non il cedente/prestatore (è il caso, ad esempio, degli acquisti di beni dai produttori agricoli ex art. 34 comma 6 del DPR 633/72, o degli acquisti da soggetti extra-Ue effettuati da soggetti stabiliti in Italia);
– vi è perfetta coincidenza fra cedente/prestatore e cessionario/committente (si pensi alla circostanza in cui i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore o alle cessioni gratuite).

Non si può parlare di “autofattura”, invece, laddove ci si riferisca alle ipotesi in cui sia necessario operare un’inversione contabile (si tratta, ad esempio, delle fattispecie di cui agli artt. 17 e 74 del DPR 633/72). In tal caso, infatti, il cedente/prestatore emette una fattura, senza addebito dell’imposta, per documentare l’operazione, mentre al cessionario/committente spetta l’onere dell’assolvimento dell’IVA.

Proprio su questo punto ci si attendeva da parte dell’Amministrazione un esplicito assenso a operare secondo modalità “tradizionali”, ovvero, conformemente a quanto disposto dall’art. 17 comma 5 del DPR 633/72, integrando la e-fattura originaria, attraverso un documento in formato analogico, contenente aliquota e imposta, ed effettuando le opportune annotazioni nel registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi) e in quello degli acquisti.
L’Agenzia richiama, invece, i propri precedenti chiarimenti di prassi, affermando che “a fronte dell’immodificabilità” della fattura elettronica ricevuta, “il cessionario/committente può – senza procedere alla sua materializzazione analogica e dopo aver predisposto un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della fattura stessa – inviare tale documento allo SdI”.

Benché vada sottolineato come tale indicazione sia stata fornita al fine di consentire di “ridurre gli oneri di consultazione e conservazione”, pur tuttavia per alcuni soggetti potrebbe risultare più agevole la predisposizione e conservazione di un documento cartaceo.
Oltretutto, in passato, l’Agenzia delle Entrate aveva ammesso l’integrazione “analogica” delle e-fatture. Pur se riferita al diverso caso dei documenti ricevuti dall’estero, nella circolare 19 ottobre 2005 n. 45 si precisa che nel caso in cui il documento integrativo venga redatto su supporto cartaceo, è necessario “materializzare” la fattura elettronica ricevuta “per conservarla congiuntamente al menzionato documento, ovvero, in alternativa, convertire il documento integrativo analogico in formato elettronico”.

A conferma di ciò, va peraltro sottolineato, come rilevato poc’anzi, che nella circolare 17 giugno 2019 n. 14 l’Amministrazione finanziaria ha affermato che il soggetto passivo “può” generare il documento elettronico da trasmettere al Sistema di  Interscambio, sottintendendo, quindi, che tale procedura costituisca una facoltà e non un obbligo.
Un’indiretta conferma si ha dalla lettura del paragrafo 6.3, nel quale, a proposito dell’estrazione di beni dal deposito IVA, l’Agenzia delle Entrate afferma che laddove le relative cessioni siano avvenute all’interno del deposito e siano, quindi, già state oggetto di documentazione, si è “di fronte a una mera integrazione del documento originario al fine di assolvere al debito d’imposta”. Il documento di prassi afferma che, in tal caso, è possibile procedere a un “eventuale invio del documento integrato” al SdI.

È, invece, obbligatoria, come precisato anche nell’interpello 11 gennaio 2019 n. 956-3/2019, l’emissione di una autofattura elettronica mediante Sistema di Interscambio, laddove non vi fosse corrispondenza fra il valore del bene ceduto all’interno del deposito e quello del bene estratto, al fine di incrementare detto valore delle spese sostenute e a esso riferibili.