La Cassazione si sofferma sul confine tra bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta semplice

Di Maria Francesca ARTUSI

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’esistenza dell’elemento soggettivo non può essere desunto dal solo fatto che lo stato delle scritture contabili sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942); tanto più quando l’omissione è contenuta in limiti temporali piuttosto ristretti, poiché in detta ipotesi è necessario chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta. In quest’ultimo caso, infatti, sarà integrato l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217 comma 2 del RD 267/1942.
Tale precisazione emerge dalle motivazioni della sentenza n. 26613 della Corte di Cassazione, depositata ieri.

Nel caso concreto affrontato da tale pronuncia, l’amministratore di diritto di una società fallita aveva consegnato al curatore una serie di scritture contabili (libro soci, libro assemblee, libri inventari, libro cespiti, libro giornale, schede contabili, registro IVA vendite e acquisti), che, tuttavia, non concernevano l’intera vita sociale dell’ente, essendo carente la documentazione degli ultimi anni prima della dichiarazione di fallimento. Lo stesso amministratore era, tra l’altro, stato assolto, in primo grado, dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, originariamente contestato per la dissipazione di 4,5 milioni di euro.

La questione centrale su cui si sofferma la Cassazione attiene all’elemento soggettivo della bancarotta documentale e al confine con la bancarotta semplice. Il citato art. 216 comma 1 n. 2 prevede, infatti, due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, che richiede il dolo generico.
Per cui, accertata la responsabilità in ordine alla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita – che richiede il solo dolo generico – diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, anch’essa contestata (Cass. n. 43977/2017).

Escluso che nel procedimento in esame fosse contestata la fattispecie a dolo specifico di sottrazione od occultamento, i giudici di legittimità rammentano che la condotta di tenuta irregolare o incompleta delle scritture contabili può rilevare sia come bancarotta fraudolenta, allorquando sia funzionale a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, sia come bancarotta semplice (Cass. n. 2900/2019).

La bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono proprio in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 217 comma 2 del RD 267/1942, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili; mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore.

Per quanto attiene, invece, all’elemento materiale del reato, la bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori, e si richiede, inoltre, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, elemento, invece, estraneo al fatto tipico della bancarotta semplice.

Dal punto di vista dell’accertamento della responsabilità dell’imprenditore o dell’amministratore, dunque, la motivazione concernente la sussistenza degli indici di fraudolenza della condotta di tenuta irregolare delle scritture contabili deve essere particolarmente rigorosa, in quanto la consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione patrimoniale e finanziaria della società fallita di per sé celerebbe, sul piano pratico, lo scopo di danneggiare i creditori (animus nocendi) o di procurarsi un vantaggio (animus lucrandi), essendo sovente funzionale alla dissimulazione o all’occultamento di atti depauperativi del patrimonio sociale.