La Cassazione si sofferma sui confini tra abuso del diritto/elusione e i reati tributari

Di Maria Francesca ARTUSI

L’abuso/elusione si configura quando si effettuano una o più operazioni prive di sostanza economica, ovvero fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali che, anche se rispettosi delle norme fiscali, realizzano vantaggi fiscali indebiti.
L’art. 10-bis della L. 212/2000, come modificato dal DLgs. 128/2015, disciplina tali operazioni, stabilendo, da un lato, che queste non sono opponibili all’Amministrazione finanziaria e, dall’altro, che non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondano a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente.

Dal punto di vista penale, la medesima norma, al comma 13, precisa che le operazioni abusive, comunque, non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, pur restando ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative. La giurisprudenza ha, tuttavia, affermato che rimane impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali – sempre, naturalmente, che ne sussistano i presupposti – nelle condotte contrastanti con disposizioni specifiche che perseguano finalità antielusive (Cass. n. 40272/2015).

Con la sentenza n. 24152, depositata ieri, la Corte di Cassazione affronta, pertanto, il tema dell’abuso del diritto in relazione a una contestazione per dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 del DLgs. 74/2000.
Al contribuente è sostanzialmente riconosciuto il “lecito risparmio di imposta”, cioè la libertà di scegliere tra i diversi regimi opzionali offerti dalla legge e le operazioni comportanti un carico fiscale inferiore. L’unico limite alla suddetta libertà è costituito dal divieto di perseguire un vantaggio fiscale indebito, in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi del diritto tributario.

Secondo i giudici di legittimità, la lettura combinata delle nuove fattispecie penali tributarie (DLgs. 74/2000) e del citato art. 10-bis comma 13 consente di avere una prospettiva più chiara circa il vero significato di quest’ultima norma, soprattutto alla luce del quadro giurisprudenziale che l’ha preceduta: non si è tanto voluto negare che una condotta abusiva possa avere di per sé un rilievo penale, quanto piuttosto, sulla base di una scelta di politica criminale, sottrarre in modo inequivocabile tali fattispecie dall’area di rilevanza penale, nella quale erano state attirate in precedenza.

Vanno tenute in considerazione anche le nuove definizioni di “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente”, consistenti in operazioni apparenti diverse da quelle disciplinate dall’art. 10-bis e poste in essere con la volontà di non realizzarle, in tutto o in parte ovvero quelle riferite a soggetti fittiziamente interposti; nonché la definizione di “mezzi fraudolenti” da intendersi come condotte artificiose, attive o omissive, realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico e determinanti una falsa rappresentazione della realtà (art. 1 del DLgs. 74/2000).

Indispensabile diviene quindi l’esatta determinazione del contenuto e dei limiti della fattispecie di abuso/elusione, cosicché essa possa distinguersi dall’ipotesi di condotta totalmente lecita del legittimo risparmio d’imposta e, nondimeno, da quella del risparmio “illecito” dell’evasione fiscale. In altre parole, la fattispecie abusiva non può essere contestata qualora l’operazione perseguita dall’agente sia suscettibile di essere fonte di responsabilità penale (in quanto violazione di una disposizione fiscale e integrante gli estremi un illecito tributario) e, a sua volta, quest’ultima non può poggiare su una contestazione di abuso/elusione.

La residualità dell’art. 10-bis è stata affermata anche dalla Cassazione n. 38016/2017 proprio in riferimento all’ipotesi criminosa della dichiarazione infedele, la quale è integrata ogni qual volta siano stati posti in essere comportamenti simulatori preordinati alla immutatio veri del contenuto della dichiarazione e integranti una falsità ideologica caratterizzante il fatto evasivo.

In un quadro caratterizzato dalla presenza di elementi tipici del falso, non è, dunque, possibile contestare l’abuso/elusione in quanto si tratta di una fattispecie sussidiaria che dovrà cedere innanzi a una contestazione ex art. 4 del DLgs. 74/2000, avente origine non in un uso distorto della normativa di settore (determinante un vantaggio fiscale “indebito”), bensì dall’intrinseca illiceità dell’operazione la quale, mediante il mendacio, è tesa all’occultamento, totale o parziale, della base imponibile.

La sentenza si sofferma anche sul tema della rilevanza delle presunzioni tributarie nell’ambito del giudizio penale, affermando che queste, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito, salva la possibilità di integrare il fumus per l’applicazione delle misure cautelari (Cass. n. 30890/2015).