Il dies a quo per calcolare la prescrizione decorre dalla presentazione della prima dichiarazione

Di Maria Francesca ARTUSI

La presentazione delle dichiarazioni integrative non assume alcuna valenza sulla rilevanza penale della condotta. Così afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23810 depositata ieri.

Nel caso di specie, la legale rappresentante di una spa aveva presentato dichiarazioni dei redditi per due annualità indicando un reddito imponibile pari a 100 euro, a fronte di ben altri elementi attivi imponibili (pari a oltre 8 milioni di euro con imposte evase superiori a un milione di euro).
La questione centrale su cui verte il ricorso attiene alla valenza della successiva presentazione di una dichiarazione integrativa rispetto a tali dichiarazioni infedeli (cfr. Cass. n. 27967/2017 e Cass. n. 40618/2013).

Si ricorda che l’art. 4 del DLgs. 74/2000 è stato oggetto di modifiche introdotte dal DLgs. 158/2015 che, con riferimento alla condotta che riveste la rilevanza penale, non ha inteso modificare il riferimento alla indicazione in una delle dichiarazioni “annuali” (come invece avvenuto, ad esempio, con riferimento ad altre fattispecie penali tributarie, come quelle degli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, in cui il legislatore ha esteso l’ambito applicativo delle predette fattispecie sopprimendo l’aggettivo “annuali” riferito sia alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sia alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).

Nel nuovo art. 4, la struttura della condotta – consistente nella indicazione, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi – è rimasta infatti inalterata, fatta eccezione per la sostituzione del termine “fittizi” con “inesistenti”.

Le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono, dunque, solo la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi degli artt. 1-6 del DPR 600/1973, e la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto disciplinata dall’art. 8 del DPR 322/1998. Sono escluse, invece, tutte le altredichiarazioni fiscali presenti nel nostro ordinamento.

Viene, infine, evidenziato come il riferimento alla “annualità” della dichiarazione abbia inevitabili effetti non solo sul piano della delimitazione dell’ambito applicativo della fattispecie penale, ma anche sul momento consumativo del reato; per cui non v’è dubbio che si tratti di un reato istantaneo, che si perfeziona con la presentazione della dichiarazione annuale infedele, non rilevando ai fini della consumazione la circostanza dell’eventuale presentazione integrativa. In altre parole il “dies a quo” ai fini del calcolo del termine di prescrizione del reato dovrà intendersi decorrente dalla data della presentazione della prima dichiarazione.

Alla luce di tali argomentazioni, viene così considerato infondato quanto sostenuto dalla difesa circa la rilevanza della dichiarazione integrativa in senso escludente la responsabilità.

Per quanto attiene all’elemento soggettivo, è richiesto il dolo specifico consistente nel “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, rappresentato dalla coscienza e volontà con riferimento alla indicazione di costi fittizi o alla omessa indicazione di ricavi, accompagnati dall’intento di evadere le imposte. Tale intento deve essere valutato al momento della consumazione del reato, ossia al momento della presentazione della dichiarazione originaria.

In questo caso, secondo i giudici, il dolo è dimostrato dal fatto che non vi fossero altre ragioni, se non quella di evadere le imposte sui redditi, che avrebbero dovuto indurre a presentare dichiarazioni infedeli, come dimostrato dal fatto che le imposte evase non sono state poi pagate. Inoltre – si aggiunge – nel momento in cui l’imputata presentava una dichiarazione infedele non poteva certo ignorare che la società (si noti, una spa) avesse percepito ben altri redditi. I giudici di merito avevano, inoltre, escluso qualsiasi efficacia scriminante alla mancata predisposizione dei bilanci e/o alle difficoltà in cui versava la società, aggiungendo che la ragione principale della presentazione della dichiarazione integrativa doveva rinvenirsi nella possibilità di sottrarsi sia al reato di omessa presentazione della dichiarazione, sia di non incorrere eventualmente in sanzioni amministrative.

Viene, da ultimo, precisato che ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele la mancata conoscenza della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 c.p., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extra-penale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile (Cass. n. 44293/2017).