Nelle linee guida del CNDCEC indicazioni per valutare il rischio a cui sono esposti gli studi professionali
La c.d. autovalutazione del rischio dello studio professionale, oggetto della regola tecnica n. 1, è esaminata nelle linee guida approvate dal CNDCEC il 16 maggio, che ne declinano analiticamente il contenuto per agevolarne la redazione da parte dei commercialisti.
In attuazione degli artt. 15 e 16 del DLgs. 231/2007, la regola tecnica n. 1 individua una metodologia per la valutazione del rischio cui sono esposti i soggetti obbligati nell’esercizio della loro attività, sulla scorta delle indicazioni promananti dal GAFI e, con specifico riferimento ai professionisti destinatari della normativa antiriciclaggio, della metodologia per la mappatura dei rischi individuata dal Comitato di sicurezza finanziaria.
Il modello individuato prevede la determinazione del c.d. “rischio residuo” quale risultante di due variabili, entrambe ben definite nelle linee guida: il “rischio inerente”, cioè il rischio attuale e potenziale cui il soggetto obbligato è esposto in ragione dell’attività concretamente svolta nel suo complesso; e la “vulnerabilità”, che è un elemento connesso all’adeguatezza dell’assetto organizzativo e dei presidi procedurali e di controllo implementati dal soggetto obbligato. Di conseguenza il rischio residuo, da mitigarsi con adeguate azioni correttive, è quello cui il soggetto obbligato è esposto, tenuto conto del rischio inerente e delle vulnerabilità riscontrate.
Per consentire ai professionisti una corretta identificazione del rischio inerente, le linee guida ne propongono innanzi tutto una classificazione in base al livello di “rischio effettivo” complessivamente individuato dal professionista in sede di adeguata verifica dei clienti. In tal senso, la soluzione proposta consente di classificare il livello di rischio inerente come “non significativo”, “poco significativo”, “abbastanza significativo” e “molto significativo” a seconda della percentuale di clienti individuati in sede di adeguata verifica come ad alto rischio, ovvero operanti in aree geografiche ritenute ad alto rischio (rispettivamente fino al 10%; dal 10 al 25%; tra il 25 e il 40%; oltre il 40%).
Per la concreta valutazione del rischio inerente di riciclaggio/FDT, l’art. 15 del DLgs. 231/2007 impone ai soggetti obbligati di tenere conto dei seguenti fattori di rischio: tipologia di clientela, area geografica di operatività, canali distributivi (nel caso specifico le modalità di esplicazione della prestazione professionale, anche tramite collaborazioni esterne, corrispondenze, ecc.) e prodotti/servizi offerti.
La valutazione del livello di rischio inerente associato a ciascuno dei suddetti fattori può essere effettuata secondo i criteri suggeriti dalle linee guida che, con riferimento alla tipologia della clientela e all’area geografica, richiedono al professionista di tenere conto delle risultanze dell’adeguata verifica riferite ai singoli clienti, considerando quanto meno i seguenti elementi: settori di attività economica a rischio riciclaggio/FDT; clienti operativi in aree geografiche a rischio riciclaggio/FDT; clienti classificati ad elevato rischio riciclaggio/FDT (ad es. persone politicamente esposte).
Anche per la valutazione dei singoli fattori che determinano il grado di vulnerabilità dello studio professionale, individuati dalla regola tecnica nella formazione e nella organizzazione degli adempimenti di adeguata verifica della clientela, conservazione documentale e organizzazione in materia di SOS e comunicazione delle violazioni all’uso del contante, le linee guida suggeriscono al professionista di prendere in considerazione alcuni elementi connessi evidentemente all’idoneità dei presidi antiriciclaggio adottati e al livello di conoscenza della normativa antiriciclaggio in capo a tutti i componenti dello studio (titolare/i, dipendenti, collaboratori, tirocinanti).
Una volta individuato il rischio residuo, il professionista dovrà predisporre le attività necessarie, potendosi limitare alla gestione del medesimo, laddove non significativo o poco significativo, dovendo invece individuare apposite azioni mitigatrici, in corrispondenza di un rischio abbastanza o molto significativo.
Le linee guida intervengono anche sulla tempistica prevista per la prima autovalutazione del rischio, che secondo la regola tecnica n. 1 dovrà essere predisposta successivamente alla pubblicazione dell’analisi nazionale del rischio in corso di emanazione da parte del CSF. Peraltro, avendo la Banca d’Italia recentemente stabilito che l’obbligo di autovalutazione trova applicazione a partire dal 1° gennaio 2020 e che i soggetti obbligati dovranno trasmettere i risultati dell’autovalutazione relativa al 2019 entro il 30 aprile 2020, le linee guida ipotizzano un termine analogo anche per la predisposizione della prima autovalutazione del rischio da parte dei commercialisti.
Il documento di autovalutazione dovrà essere aggiornato con cadenza triennale, conservato e messo a disposizione delle autorità di vigilanza. La sua assenza non costituisce violazione direttamente sanzionabile; tuttavia le linee guida ricordano che la sua redazione rileva positivamente per la determinazione quantitativa della sanzione ex art. 67, comma 1, lett. g), del DLgs. 231/2007 in ragione dell’adozione di adeguate procedure di valutazione e di mitigazione del rischio.