La giurisprudenza ritiene che la situazione sia la stessa dell’imposta di registro
Notificato un avviso di liquidazione o di accertamento in tema di imposta di registro, a volte la presentazione del ricorso non sospende la riscossione. Solo le sanzioni, in ragione dell’art. 19 del DLgs. 472/97, possono essere riscosse unicamente dopo la sentenza di primo grado che conferma il recupero e nella misura dei due terzi.
Il problema deriva dall’art. 68 comma 1 del DLgs. 546/92, secondo cui “anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato…“. Successivamente, si illustra l’intensità con cui può avvenire la riscossione in caso di ricorso (si parla infatti di riscossione frazionata in pendenza di giudizio).
Questa norma opera, tuttavia, solo quando la legge istitutiva del tributo preveda la riscossione frazionata, come avviene per imposte sui redditi e IVA (si veda l’art. 14 del DPR 602/73).
Per l’imposta di registro, due sono le norme principali di riferimento: l’art. 56 del DPR 131/86 (che prevede la riscossione del solo terzo dell’imposta derivante dal maggior valore accertato) e l’art. 68 comma 3 del DLgs. 546/92 (che, per ogni tipo di imposta suppletiva, inibisce la riscossione se non dopo la sentenza della Regionale).
Dunque, per tutte le altre casistiche (riqualificazione degli atti, disconoscimento di agevolazioni…) la riscossione, per le imposte, prosegue in modo integrale nonostante la proposizione del ricorso.
Ciò vale anche per il recupero dell’agevolazione prima casa.
Per ricorrere contro l’atto di riscossione (tipicamente la cartella di pagamento, non essendoci il sistema degli accertamenti esecutivi), occorre dunque sostenere che, nella specie, si tratta di imposta suppletiva (la distinzione tra imposta principale, complementare e suppletiva spesso non è netta).
In merito alla prima casa, comunque, la tesi assolutamente maggioritaria opta per la natura complementare dell’imposta.
Ci si potrebbe chiedere se quanto esposto valga anche per la maggiore IVA richiesta a seguito del disconoscimento dell’agevolazione prima casa.
La giurisprudenza occupatasi del tema si è espressa in senso positivo.
La C.T. Reg. Lombardia 6 novembre 2018 n. 4754/19/18 ha sancito che la riscossione, in pendenza del ricorso, avviene per l’intero, nonostante si tratti di IVA, in quanto la disciplina è contenuta nel DPR 131/86 (Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte I).
Non si tratta di ordinario accertamento IVA in cui è prevista la riscossione frazionata, ma di avviso di liquidazione, relativamente al quale la disciplina sulla prima casa tace sul punto.
Alle stesse conclusioni la giurisprudenza è giunta, coerentemente, per i termini decadenziali di notifica dell’avviso di liquidazione.
Così, in via implicita, la pronuncia della Cassazione del 28 luglio 2015 n. 15960.
In effetti, è di fatto impossibile far operare l’art. 57 del DPR 633/72, siccome il dies a quo è connesso al momento di presentazione della dichiarazione, che non ha rilevanza, visto che l’acquirente non è un soggetto IVA.
Trova applicazione, di conseguenza, il termine triennale dell’art. 76 del TUR, e, semmai, ci potrà essere un problema nell’individuazione del dies a quo (argomento analizzato nella Scheda di aggiornamento di dicembre 2018).