Il professionista risponde penalmente per il visto di conformità mendace

Possibile dichiarazione fraudolenta dato che il visto mendace è idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria

Di Maria Francesca ARTUSI

Il professionista che rilascia un visto di conformità mendace ovvero un’infedele asseverazione dei dati, ai fini degli studi di settore, risulta esposto sia alle specifiche sanzioni amministrative previste all’art. 39 del DLgs. 241/1997 sia a quelle penali riferibili al caso concreto, non trovando applicazione il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. (nonostante, si rileva, l’art. 39 del DLgs. 241/97 contenga la clausola “salvo che il fatto costituisca reato”).
In particolare, tale soggetto può incorrere nel reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000, dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria, indicando in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.

Tale affermazione è contenuta nelle motivazioni della sentenza n. 19672 della Corte di Cassazione, depositata ieri. A un professionista era stato contestato (con conseguente provvedimento di sequestro) il delitto di cui al citato art. 3 per aver apposto un visto di conformità nell’ambito di un’associazione per delinquere che operava tramite la ricerca di imprese in decozione, il reclutamento di un prestanome e la costruzione con espedienti e artifici di una contabilità nella quale figurano ingenti crediti di imposta derivanti da operazioni fittizie.

I giudici di legittimità evidenziano, in proposito, che la responsabilità del professionista non muta a seconda che si tratti di un “visto leggero” (previsto e disciplinato dall’art. 35 del DLgs. 241/1997) o di un “visto pesante” (o certificazione tributaria, ulteriore tipologia di controllo prevista invece dall’art. 36 dello stesso decreto).

Il primo rappresenta uno dei livelli di controllo attribuito dal legislatore a soggetti estranei all’Amministrazione finanziaria sulla corretta applicazione delle norme tributarie, in particolare a professionisti abilitati iscritti negli appositi Albi. Con la sua apposizione i professionisti attestano la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione e alle norme che disciplinano la deducibilità e detraibilità degli oneri, i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Tali controlli hanno lo scopo di evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione di imponibili, imposte e ritenute e nel riporto di eccedenze derivanti da precedenti dichiarazioni.

Del resto, l’attività di controllo implica, nel caso del professionista, una regolare tenuta della contabilità, la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e alla relativa documentazione sia per le imposte sui redditi sia ai fini IVA. L’apposizione in esame è obbligatoria per una serie di operazioni tra le quali: la compensazione dei crediti relativi a IVA, imposte dirette, IRAP e ritenute di importo superiore a 5.000 euro annui; la presentazione delle istanze di rimborso dei crediti IVA, annuale e trimestrali, di ammontare superiore a 30.000 euro per periodo d’imposta; la presentazione delle dichiarazioni modello 730. Per apporre il visto, il professionista deve essere in possesso dell’abilitazione alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali (Entratel) e aver presentato alla Direzione regionale territorialmente competente apposita comunicazione per la relativa iscrizione nell’elenco informatizzato.

Il visto “pesante”, invece, ha per oggetto la certificazione tributaria che permette il controllo sostanziale sulla corretta applicazione delle norme tributarie che interessano la determinazione, la quantificazione e il versamento dell’imposta. Questo può essere rilasciato dai revisori contabili, iscritti negli albi dei dottori commercialisti ed esperti contabili o dei consulenti del lavoro, con particolari competenze lavorative. Il giudizio è pertanto professionale e il professionista abilitato può rilasciare la relativa certificazione richiesta solo qualora sussista la ragionevole convinzione della corretta osservanza della normativa applicabile. Pertanto, la certificazione tributaria, a differenza del visto leggero, ha carattere facoltativo.

Quanto sopra, dunque, è sufficiente per la Cassazione a dimostrare che, anche nel caso del visto “leggero”, il professionista è tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione e la conformità alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti di imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Con esso, infatti, il professionista effettua un’attestazione con riferimento all’esecuzione dei controlli previsti nell’art. 2 del DM 164/1999. Da ciò può conseguire anche la penale rilevanza di una sua condotta fraudolenta, salva la prova del dolo che deve necessariamente accompagnare l’apposizione del visto mendace.

2019-05-09T07:22:31+00:00Maggio 9th, 2019|News|
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