L’art. 36 del DPR 602/73 opera una puntuale delimitazione dell’ambito di responsabilità in proprio dei liquidatori

Di Maria Francesca ARTUSI

La figura del liquidatore è richiamata espressamente dall’art. 1 del DLgs. 74/2000, tra i soggetti attraverso i quali una persona giuridica può commettere uno degli illeciti tributari previsti dal medesimo decreto; costui è, infatti, tenuto a presentare le dichiarazioni fiscali nei casi previsti dalla legge.

In giurisprudenza è sorto un dibattito riguardo alla responsabilità di questo soggetto nel caso di omesso versamento delle imposte, con particolare riguardo all’altrettanto dibattuta questione sulla rilevanza penale della crisi di liquidità.

Diverse decisioni hanno sostenuto che risponde, quantomeno a titolo di dolo eventuale, colui che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (Cass. n. 34927/2015, Cass. n. 38687/2014, Cass. n. 3636/2014).

In relazione all’analogo delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, è stato, poi, precisato il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il liquidatore di società risponde del delitto previsto dall’art. 10-bis del DLgs. 74/2000 non per il mero fatto del mancato pagamento attraverso le attività di liquidazione delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, ma solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti (Cass. n. 21987/2016).

In motivazione, tale ultima decisione spiega che questa conclusione è ricavabile dalle limitazioni, fissate dall’art. 36 del DPR 602/1973, alla responsabilità in proprio del liquidatore, che sussiste solo qualora egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.

Benché tale disposizione – che, peraltro, riguarda l’obbligo civilistico solidale del pagamento dei tributi non versati – si riferisca esclusivamente alle imposte sui redditi, il principio di cui essa è espressione risponde all’esigenza di non gravare chi assuma la carica di liquidatore di una società di responsabilità per omessi pagamenti dovuti all’insufficienza di risorse che spesso caratterizza la fase liquidatoria e rispetto ai quali nessuno specifico motivo di rimprovero può essere mosso all’agente. Tale disciplina e la citata giurisprudenza di legittimità che ne ha fatto recente applicazione si muovono, dunque, in quella prospettiva di non imputabilità della condotta per causa di forza maggiore o assenza di elemento soggettivo.

In questo medesimo senso si muove anche la sentenza della Cassazione n. 17727, depositata ieri, attraverso cui è stato assolto da responsabilità il liquidatore di una società calcistica che aveva assunto la carica soltanto un mese prima della scadenza del termine per il versamento dell’IVA e non aveva potuto effettuare il versamento per assoluta mancanza di liquidità ed impossibilità di reperirla. In particolare, veniva evidenziato che l’imputato aveva accettato quell’incarico soltanto perché i soci avevano promesso una ricapitalizzazione ed era comunque in corso una trattativa per la vendita di un giocatore; egli aveva, poi, rassegnato le dimissioni non appena aveva avuto contezza che entrambi gli eventi non si sarebbero verificati.

Come si è detto, l’art. 36 del DPR 602/73 opera una puntuale delimitazione dell’ambito di responsabilità in proprio dei liquidatori, riferendosi, in primo luogo, alle imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori e, in secondo luogo, precisando che detta responsabilità consegue nel caso in cui essi non provino di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.

Sicché la responsabilità per il reato di omesso versamento delle ritenute o dell’IVA potrebbe configurarsi solo se i soggetti preposti alla liquidazione distraggano l’attivo della società finalizzato al pagamento delle imposte e lo destinino a scopi differenti; una diversa lettura della norma porrebbe il liquidatore di fronte a due opzioni contrastanti: da un lato, quello di osservare l’obbligo gerarchico nell’assolvimento delle posizioni debitorie (tra cui rientrano anche quelle fiscali); dall’altro, il rischio di una responsabilità penale nel caso in cui l’osservanza di tale criterio di ripartizione comporti inevitabilmente l’omissione del versamento delle ritenute (Cass. n. 8995/2018).