Ritenute sui dividendi intra Ue solo nei casi di abuso

Solo in presenza di costruzioni non genuine si giustifica il diniego dei benefici delle direttive, anche se la Corte Ue non ha sciolto tutti i dubbi

Di Luca MIELE

Verifica dello status di beneficiario effettivo in caso di pagamenti intra Ue di dividendi e divieto di pratiche abusive sono concetti che rischiano di “confondersi”: è quanto si desume anche dalla lettura delle c.d. “sentenze danesi” della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 26 febbraio 2019.

Secondo il Commentario al modello OCSE, anche nella sua versione del 2017, il diretto percipiente di dividendi è considerato beneficiario effettivo al ricorrere di due presupposti:
– i proventi devono essere a lui fiscalmente imputabili nel suo Stato di residenza;
– il percipiente deve disporre del potere di impiego e godimento dei dividendi stessi, escludendo quindi da tale qualità le società conduit e le società che dispongono di poteri così ridotti da essere mere fiduciarie o amministratrici per conto altrui.

A tale ultimo riguardo, il Commentario chiarisce che l’esercizio di tali poteri è ridotto laddove vincolato da obbligazioni legali o contrattuali di retrocedere il relativo controvalore economico ad altro soggetto o anche da obbligazioni derivanti da circostanze di fatto. Inoltre, l’obbligazione di retrocessione deve essere “dipendente” dalla percezione di tali proventi.
La qualifica di “beneficiario effettivo”, comunque, non garantisce in modo automatico i benefici convenzionali in quanto, secondo l’OCSE, gli stessi devono essere negati in presenza di pratiche abusive.

Quanto alla direttiva “madre-figlia”, la stessa non prevede espressamente la clausola del beneficiario effettivo, ma subordina l’applicazione del regime di esenzione dalle ritenute all’assenza di pratiche abusive/elusive/evasive. Coerentemente, nell’ordinamento domestico, l’art. 27-bis del DPR 600/73 non reca alcun riferimento espresso al beneficiario effettivo, ma rinvia alla norma antielusiva generale di cui all’art. 10-bis della L. 212/2000 che, se interpretata nel senso della direttiva, rimanda alla condizione di genuinità del veicolo societario “interposto”.

In conseguenza di tale assetto normativo, nella prassi dei verificatori si assiste di frequente a una sovrapposizione tra beneficiario effettivo e “costruzioni non genuine”, deducendo indifferentemente argomenti che dovrebbero dare fondamento alla rilevata mancanza dello status di beneficial owner ed elementi indici di una supposta non genuinità del veicolo, con ciò tracciando un’equivalenza tra le due condizioni (Assonime, documento della serie Note e Studi n. 17/2016).

Da più parti si era auspicato che le decisioni dei “casi danesi” contribuissero a chiarire i temi della rilevanza del beneficiario effettivo e della configurazione di abuso, soprattutto in merito alla direttiva madre-figlia. In realtà, la Corte di Giustizia (sentenza relativa alle cause riunite C-116/16 e C-117/16), in relazione a tale direttiva, non si esprime chiaramente circa la rilevanza della clausola del beneficiario effettivo; la Corte afferma, comunque, che uno Stato membro deve negare il beneficio di disposizioni di diritto dell’Unione laddove queste vengano invocate non al fine di realizzare le finalità delle disposizioni medesime, bensì per godere di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione. In altri termini, il contribuente non può beneficiare di un diritto o di un vantaggio riconosciuto dal diritto dell’Unione quando l’operazione sia puramente artificiosa sul piano economico. Ne discende che i giudici nazionali sono tenuti a negare i benefici previsti dalla direttiva madre-figlia qualora invocati abusivamente.

Nella sentenza si legge (anche) che costituisce un indizio dell’esistenza di tale costruzione artificiosa il fatto che i dividendi vengano ritrasferiti, integralmente o quasi ed entro un lasso di tempo molto breve successivo al loro percepimento, dalla società percettrice a entità (che la Corte qualifica beneficiari effettivi) non rispondenti ai requisiti d’applicazione della direttiva, ad esempio perché stabilite al di fuori dell’Unione (paragrafo 101 della sentenza relativa alle cause riunite C-116/16 e C-117/17). Nello stesso senso vanno le ulteriori affermazioni secondo cui costituisce indizio di costruzione artificiosa la circostanza che la società interposta ha obblighi contrattuali o legali di ritrasferire i dividendi a terzi o, comunque, non disponga del diritto di utilizzare detti dividendi e di goderne (paragrafo 105).

Dalla lettura di tali passaggi (e di altri della medesima sentenza) sembra di poter concludere che la Corte di Giustizia si riferisca a una nozione di abuso delle direttive che guarda (anche) alle circostanze di fatto e che include tra gli indici della presenza di una pratica abusiva gli indici della insussistenza dello status di beneficiario effettivo di cui al Commentario OCSE.
Sembra, quindi, che la retrocessione di un dividendo in un breve lasso temporale, pur non comportando di per sé la negazione dei benefici della direttiva madre-figlia, rappresenti un indizio di abuso che, insieme ad altri indizi, può portare a disconoscerne i vantaggi.

E, in questo senso, continua la “confusione” tra beneficiario effettivo e pratiche abusive, tra strutture interposte e strutture di puro artificio; circostanza che, peraltro, in sede di accertamento potrebbe avere effetti diversi in quanto, in linea teorica, le contestazioni relative al beneficiario effettivo dovrebbero rientrare nelle forme di evasione mentre quelle relative all’abuso nell’elusione.

2019-04-18T10:08:10+00:00Aprile 17th, 2019|News|
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