Definizione con soccombenza parziale applicabile alle liti su sole sanzioni

Restano dubbi per le liti definibili al 5% pendenti in Cassazione

Di Giorgio INFRANCA e Pietro SEMERARO

L’art. 6 comma 2-bis del DL 119/2018, inserito in fase di conversione, individua l’importo da corrispondere per la definizione delle liti pendenti in caso di soccombenza ripartita tra Agenzia delle Entrate e contribuente.
In particolare, detta disposizione stabilisce che: “In caso di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate, l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni è dovuto per intero relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta, secondo le disposizioni di cui al comma 2, per la parte di atto annullata”.

Il richiamo alle sole “disposizioni di cui al comma 2” ha sollevato qualche dubbio in merito all’applicazione del meccanismo dello “split” tra la parte di atto confermata e quella di atto annullata anche agli atti impositivi contenenti esclusivamente “sanzioni non collegate ai tributi”.

Per tali atti, infatti, sussiste un’autonoma disposizione – non richiamata dal comma 2-bis – che regola le percentuali di definizione, ovvero il successivo comma 3 a mente del quale si prevede il pagamento del 15% delle sanzioni contestate/irrogate nel caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate e il 40% “negli altri casi”.

Il dubbio, dovuto per lo più a un’infelice tecnica legislativa, è stato fortunatamente risolto dalla stessa Agenzia che, nel modello di domanda, pubblicato lo scorso 18 febbraio, espressamente prevede, nella descrizione del “codice 9” (da inserire nella parte relativa alle “modalità di definizione”) che “se si tratta di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo e vi è stata reciproca soccombenza dell’Agenzia delle entrate e del contribuente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, depositata alla data del 24 ottobre 2018; in tal caso, l’importo lordo dovuto è pari al 15 per cento del valore della controversia, per la parte in cui l’Agenzia delle entrate è risultata soccombente, e al 40 per cento per la restante parte”.
Dunque è pacifico che anche per gli atti impositivi contenenti solo “sanzioni non collegate al tributo” di cui all’art. 6 comma 3 del DL 119/2019 è applicabile il meccanismo dello split.

Nel modello di definizione nulla invece si dice sull’applicabilità del predetto meccanismo dello split con riguardo alla percentuale del 5% del valore della controversia prevista dal comma 2-ter (inserito anch’esso in fase di conversione del decreto) ai fini della definizione dei giudizi pendenti in Cassazione alla data di entrata in vigore della legge di conversione (19 dicembre 2018), nei quali l’Agenzia sia risultata soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio.
Il “codice 6” del modello si limita infatti a riprodurre il testo di legge prevedendo che “se, alla data del 19 dicembre 2018, la controversia pende innanzi alla Corte di cassazione e l’Agenzia delle entrate è risultata soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio; in tal caso, l’importo dovuto è pari al 5 per cento del valore della controversia”.

Sebbene su questo aspetto non vi sia alcuna indicazione, si ritiene applicabile lo stesso “chiarimento” intervenuto per gli atti contenenti sanzioni non collegate al tributo. Anche il comma 2-ter infatti, analogamente al comma 3, non è espressamente richiamato dal comma 2-bis che regola il meccanismo dello split. Considerato che l’Agenzia ha correttamente ritenuto che tale meccanismo debba trovare applicazione anche con riguardo agli atti contenenti sanzioni non collegate al tributo di cui al comma 3, lo stesso ragionamento deve allora valere con riferimento alla percentuale di definizione del 5% relativa ai giudizi pendenti in Cassazione di cui al comma 2-ter.
Del resto, se un determinato rilievo dell’Agenzia contenuto in un avviso di accertamento si è rivelato del tutto infondato ed è stato annullato sia in primo grado sia in secondo grado, non si comprenderebbero le ragioni per cui su detto rilievo, qualora il contribuente volesse definire, non si potrebbe applicare la percentuale del 5%.

Tale possibilità risponderebbe peraltro a esigenze di equità ed eviterebbe sicure distorsioni in tutti quei casi in cui il rilievo confermato in primo o in secondo grado rappresenti una percentuale insignificante rispetto alla totalità degli importi indicati nell’atto impositivo e annullati dal giudice di primo e di secondo grado.

Solo per rendere l’idea, se si ragionasse diversamente, in caso di una ripresa complessiva di un milione di euro, sarebbe sufficiente la conferma, anche solo in un grado di giudizio, di un singolo recupero per cento euro, per rendere impossibile la definizione al 5%, il che pare francamente inaccettabile.

2019-03-11T08:58:24+00:00Marzo 11th, 2019|News|
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