Sconto del 10% dell’imposta se c’è stata la cassazione con rinvio
Ieri è stato pubblicato il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate 18 febbraio 2019 n. 39209, in cui è stato approvato il modello di istanza per la definizione delle liti pendenti, con relative istruzioni.
Rientrano nella definizione le liti appartenenti alla giurisdizione tributaria in cui è controparte l’Agenzia delle Entrate, pendenti alla data del 24 ottobre 2018, riguardanti atti impositivi.
Nel provvedimento si ribadisce che deve trattarsi di processi avverso “atti impositivi” in senso sostanziale, con esclusione, di conseguenza, dei ricorsi contro atti solamente liquidatori (esempio, cartelle di pagamento, avvisi di liquidazione).
Sebbene ciò non sia precisato, aggiungiamo che per questi ultimi atti non bisogna fermarsi al nomen iuris, dovendosi verificare in che cosa consiste il recupero. Non sempre, infatti, la cartella di pagamento è solo liquidatoria, il tipico caso è la cartella scaturente da controllo formale.
Il modello è strutturato in modo simile a quello precedente, inerente alla definizione dell’art. 11 del DL 50/2017, con l’aggiunta di alcuni campi, posto che in tal caso si hanno pure sconti d’imposta, a differenza di quanto prevedeva il DL 50/2017.
Brevemente, si rammenta che:
– se l’Agenzia delle Entrate è rimasta soccombente in primo grado, si paga il 40% delle imposte, con stralcio di sanzioni e interessi;
– se l’Agenzia delle Entrate è rimasta soccombente in secondo grado (a prescindere dal fatto che in primo grado abbia vinto o perso), si paga il 15% delle imposte con stralcio di sanzioni e interessi;
– se c’è stata soccombenza del contribuente, occorre pagare tutte le imposte (il beneficio consiste nel solo stralcio di sanzioni e interessi);
– se il processo è iscritto nel primo grado di giudizio, si paga il 90% delle imposte;
– se il contribuente è stato vincitore in tutti i gradi di merito e, al 19 dicembre 2018, il processo pende in Cassazione, si ha lo stralcio del 95% delle imposte.
Emerge un aspetto importante relativo alla fattispecie del comma 1-bis, concernente il ricorso “iscritto” nel primo grado.
Per le Entrate, la costituzione in giudizio deve essere avvenuta entro lo scorso 24 ottobre, come peraltro era stato anticipato a Telefisco 2019.
Premesso tanto, lo sconto del 10% opera altresì “in caso di pendenza a tale data dei termini per la riassunzione o di pendenza a tale data del giudizio di rinvio”.
Dunque, se, alla data del 24 ottobre 2018, il processo era pendente al grado di rinvio (dopo quindi la sentenza di cassazione con rinvio, ex art. 63 del DLgs. 546/92), si ha lo sconto del 10%.
L’impostazione è coerente con l’effetto della sentenza di cassazione con rinvio, che pone nel nulla tutte le precedenti sentenze (in altre parole, dopo la cassazione con rinvio, è come se il processo pendesse in primo grado, quand’anche il rinvio, come spesso accade, sia disposto in Regionale).
Nel modello, poi, vi sono i consueti campi strumentali all’identificazione del processo (dati del ricorrente, del resistente, valore della lite, numero di RGR o di RGA …).
Per la Direzione provinciale, è necessario indicare il codice dell’ufficio legale.
Visionando le istruzioni, a pagina 6, emerge una palese violazione di legge.
L’art. 6 comma 9 del decreto 119/2018 stabilisce: “Dagli importi dovuti ai sensi del presente articolo si scomputano quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio”.
Il legislatore avrebbe potuto fare riferimento generico alle somme derivanti da riscossione frazionata, ma, per dirimere ogni dubbio, si è premurato di inserire la locuzione “a qualsiasi titolo”.
Ebbene, nel provvedimento si legge che, nel campo “Importo versato in pendenza di giudizio”, occorre “indicare la somma di tutti gli importi pagati a qualsiasi titolo, di spettanza dell’ente impositore, prima della presentazione della domanda di definizione, sempre che siano ancora in contestazione nella controversia oggetto di definizione. Sono esclusi gli importi di spettanza dell’agente della riscossione (aggi, spese per le procedure esecutive, spese di notifica, ecc.)“.
L’aggio di riscossione, in altre parole, non si scomputa. Considerato che se il contribuente volesse semplicemente far rispettare la legge, dovrebbe versare un importo minore e poi ricorrere contro il diniego di definizione, oppure pagare e poi chiedere il rimborso, si ritiene che ciò possa integrare gli estremi del reato di violenza privata: l’art. 610 del codice penale punisce chi “costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”, e la violenza, naturalmente, non è solo quella propriamente fisica.
Si conferma che non entrano a far parte della definizione le “porzioni” di atto interessate da acquiescenza, giudicato interno o autotutela in diminuzione.
In merito a quest’ultimo punto (ma ciò non viene trattato in modo espresso), si deve avere riguardo non alla data del 24 ottobre, ma al giorno in cui viene presentata la domanda di definizione.