Da provare che il patrimonio netto che la società «apporta» nella fusione o scissione è pari o superiore all’ammontare di perdite fiscali pregresse
La “disapplicazione” della norma antielusiva specifica di cui all’art. 172 comma 7 del TUIR, in materia di riporto post fusione o scissione delle perdite fiscali pregresse, è strettamente correlata a una corretta comprensione delle finalità elusive a contrasto delle quali la norma è posta.
La norma pone due distinti paletti:
– quello “qualitativo” del superamento del “test di vitalità” (tale per cui le perdite possono essere riportate solo a condizione che dal Conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, nonché un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori);
– quello “quantitativo” del “limite del patrimonio netto” (tale per cui le perdite possono essere riportate solo per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto, quale risulta dall’ultimo bilancio, o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 2501-quater c.c., senza tenere conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa).
Per quanto riguarda il “paletto qualitativo” del “test di vitalità”, il principio di diritto n. 6, diramato dall’Agenzia delle Entrate il 15 ottobre 2018, afferma che “lo scopo del test è di verificare che la società fusa o incorporata non sia stata volutamente depotenziata nel periodo antecedente alla fusione”.
Per quanto riguarda invece il “paletto quantitativo” del “limite del patrimonio netto”, la ratio sembrerebbe essere quella di ritenere essenzialmente finalizzata al conseguimento del vantaggio fiscale (rappresentato dalla riportabilità delle perdite) l’inclusione in una fusione o scissione di una società il cui patrimonio (che “apporta” nell’aggregazione) vale addirittura meno delle perdite fiscali che può invece attribuire.
In quest’ottica, l’ulteriore ratio dell’esclusione dei versamenti e conferimenti fatti negli ultimi 24 mesi va nella direzione opposta di quella del “test di vitalità”, nel senso che:
– se la ratio del “test di vitalità” è quella di impedire il riporto delle perdite nei casi in cui, nel periodo precedente alla fusione o alla scissione, vi siano stati “depotenziamenti volontari” del soggetto che riporta le perdite;
– la ratio invece dell’esclusione dei versamenti e conferimenti fatti negli ultimi 24 mesi sembrerebbe essere quella di evitare che la limitazione delle perdite fiscali riportabili all’ammontare del patrimonio netto della società che riporta le perdite possa essere aggirata mediante “potenziamenti volontari”, quali ricapitalizzazioni strumentali, operate a ridosso della fusione, al solo scopo di ottenere un più elevato plafond di perdite riportabili (Assonime, Relazione sull’attività svolta nel biennio 1985-1986).
Se si condivide che queste sono le rispettive ratio delle disposizioni antielusive di cui si compone l’art. 172 comma 7 del TUIR, ecco che allora, per ottenerne la disapplicazione, appare necessario provare nel merito che:
– il mancato superamento del “test di vitalità” non dipende da strategie di “depotenziamento volontario” della società che riporta le perdite, attuato nel periodo che precede la fusione o la scissione;
– il patrimonio netto che la società “apporta” nella fusione o scissione è pari o superiore all’ammontare di perdite fiscali pregresse che, a sua volta, “apporta” nella fusione o scissione;
– gli eventuali versamenti e conferimenti, effettuati negli ultimi 24 mesi prima della fusione o scissione, non dipendono da strategie di “potenziamento strumentale” della società che riporta le perdite, finalizzato essenzialmente ad aumentare il limite quantitativo di perdite fiscali riportabili post fusione o scissione.
Per quanto riguarda in particolare la prova che il patrimonio netto che la società “apporta” nella fusione o scissione sia pari o superiore all’ammontare di perdite fiscali pregresse che, a sua volta, “apporta” nella fusione o scissione, è lecito chiedersi se sia possibile fornirla dando adeguata dimostrazione del fatto che il patrimonio netto effettivo sia più che capiente in ragione di plusvalori latenti che non dovessero risultare nel patrimonio netto contabile della società.
Ciò infatti dimostrerebbe che, nonostante un patrimonio netto contabile incapiente che fa scattare la “presunzione di elusione”, la società inclusa nella fusione o scissione apporta al “coacervo patrimoniale post fusione o scissione” una consistenza di entità non inferiore a quella delle perdite fiscali che a sua volta apporta.