Antiriciclaggio con favor rei

La legge successiva più favorevole è applicabile retroattivamente anche in presenza di un provvedimento sanzionatorio

Di Maurizio MEOLI

Alle violazioni della disciplina antiriciclaggio poste in essere anteriormente alle modifiche apportate dal DLgs. 90/2017 si applica il principio di retroattività della legge successiva più favorevole dettato dall’art. 69 del DLgs. 231/2007 anche quando abbiano già formato oggetto di un provvedimento sanzionatorio. Tale principio può essere applicato dalla Suprema Corte anche nei giudizi in cui la quantificazione della sanzione non sia stata specificamente impugnata (ovvero l’impugnazione sia stata rigettata in primo grado con statuizione non appellata o rigettata in secondo grado con statuizione non gravata da ricorso per Cassazione). Peraltro, dal momento che tale principio rende necessario un giudizio comparativo volto a stabilire quale sia il trattamento sanzionatorio in concreto più favorevole, ovvero, dal momento che rende necessario un apprezzamento di fatto che può essere compiuto solo dal giudice di merito, occorre procedere ad un rinvio a quest’ultimo affinché vi provveda.

A stabilirlo è la Cassazione nella sentenza n. 3302, depositata ieri, relativa ad una sanzione amministrativa di circa 41.700 euro comminata al presidente del CdA e legale rappresentante di una banca che, ricevute dagli operatori talune segnalazioni di operazioni sospette per un importo complessivo di circa 417.000 euro, non procedeva al relativo esame e non provvedeva alla comunicazione delle stesse all’UIC (oggi UIF), in violazione dell’art. 3 del DL 143/1991, con applicazione dell’art. 5, che prevedeva una sanzione amministrativa pecuniaria dal 5% fino alla metà del valore dell’operazione. Questa omissione ancora oggi costituisce violazione amministrativa, sanzionata dall’art. 58 del DLgs. 231/2007 (in relazione al precedente art. 36) con un minimo di 3.000 euro; ma, “nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime”, si va da 30.000 a 300.000 euro.

Successivamente al ricorso per Cassazione, peraltro, il DLgs. 90/2017 inseriva nel DLgs. 231/2007 l’art. 69, che, al primo comma, così recita: “Nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole, …”.

Tale previsione – sottolinea la Suprema Corte – introduce nella disciplina antiriciclaggio una eccezione al principio generale secondo il quale la retroattività della legge successiva più favorevole, prevista in ambito penale dall’art. 2 comma 3 c.p., non si applica alle sanzioni amministrative. Questa eccezione si applica anche quando, come nel caso di specie, le violazioni commesse anteriormente abbiano già formato oggetto di un provvedimento sanzionatorio.

Ciò in quanto: l’art. 69 non contiene alcun riferimento al requisito della mancata emanazione del provvedimento sanzionatorio; il principio di irretroattività di cui all’art. 11 delle preleggi risulta derogato; non rilevano gli artt. 3 del DLgs. 472/1997 e 23-bis del DPR 148/1988, che pongono come limite alla retroattività della legge più favorevole l’intervenuta “definitività” del provvedimento sanzionatorio; non è pertinente l’art. 74 del DLgs. 231/2007, come introdotto dal DLgs. 90/2017, secondo cui “dall’attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, trattandosi non di maggiori oneri, ma di minori entrate prive del requisito della certezza, in quanto dipendenti da provvedimenti sub iudice (cfr. anche Cass. n. 20647/2018).

Come evidenziato, inoltre, il nuovo principio è ritenuto applicabile dalla Suprema Corte anche nei giudizi in cui la quantificazione della sanzione non sia stata specificamente impugnata (ovvero l’impugnazione sia stata rigettata in primo grado con statuizione non appellata o rigettata in secondo grado con statuizione non gravata da ricorso per Cassazione). Come affermato da Cassazione n. 8243/2008, in materia di sanzioni amministrative tributarie, infatti, “le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute devono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, pure in sede di legittimità, atteso che, nella valutazione del legislatore, … la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione”.

A fronte di tutto ciò, peraltro, occorre procedere ad un giudizio comparativo volto a stabilire quale sia il trattamento sanzionatorio più favorevole tra le discipline succedutesi nel tempo. A tali fini rilevano non solo i ricordati trattamenti sanzionatori, dovendo considerarsi anche la gravità in concreto della condotta (da apprezzare secondo l’art. 58 del DLgs. 231/2007), nonché le ulteriori circostanze di cui all’art. 67 del DLgs. 231/2007. In pratica, ai fini della individuazione del trattamento sanzionatorio più favorevole è necessario un apprezzamento di fatto – che non può essere compiuto se non in sede di merito – delle circostanze di commissione dell’illecito, per stabilire se per la violazione perpetrata risulti più favorevole la sanzione irrogata sulla base della previgente disciplina o quella irrogabile secondo la disciplina introdotta nel 2017.

2019-02-06T08:34:14+00:00Febbraio 6th, 2019|News|
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