Se considerata accessoria al fabbricato, la spesa è capitalizzata a incremento del relativo costo
Può accadere che il professionista sia chiamato a sostenere delle spese per il cambio di destinazione d’uso (ad esempio, da A/2 ad A/10) dell’immobile di proprietà adibito a studio professionale, anche senza l’esecuzione di opere edilizie.
In assenza di una specifica disciplina, il trattamento di tali oneri nella determinazione del reddito di lavoro autonomo appare dubbio.
In via preliminare, si ricorda che, ai sensi dell’art. 43 comma 2 del TUIR, sono strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione da parte del possessore.
Per gli immobili dei professionisti, a differenza di quelli relativi all’impresa, non è pertanto configurabile la strumentalità “per natura”, ma solo quella “per destinazione”. In altre parole, la connotazione dell’immobile strumentale è di mero fatto (occorre che esso venga utilizzato a titolo esclusivo per l’esercizio dell’arte o della professione): in questo senso, si prescinde dalla categoria in cui l’immobile risulta censito in Catasto (A/10, A/3, A/2, ecc.).
Pertanto, risultano strumentali anche gli immobili acquistati in qualità di persona fisica (“a titolo personale”), ma destinati esclusivamente all’esercizio dell’attività professionale (cfr. ris. Agenzia delle Entrate n. 13/2010).
Ciò premesso, si ritiene che, laddove il cambio di destinazione d’uso non sia stato determinato dall’esecuzione di un intervento edilizio, di natura ordinaria o straordinaria, la spesa a tal fine sostenuta non possa rientrare tra quelle relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione dell’immobile strumentale e seguirne la relativa disciplina.
Con specifico riferimento alle spese di manutenzione, la circ. CNDCEC n. 1/IR/2008 (§ 4) ha osservato che, al fine di stabilirne l’imputabilità o meno al costo dei beni cui ineriscono, “la norma espressamente obbliga a riferirsi alle loro stesse caratteristiche. La qualificazione di dette spese non può dunque essere asservita a soluzioni di opportunità o convenienza fiscale, ma deve rispondere a coerenti principi di classificazione contabile”.
Se, nel nostro caso, si adotta la stessa impostazione, occorre richiamare il documento OIC n. 16, in base al quale sono definiti come accessori tutti i costi collegati all’acquisto che la società sostiene affinché l’immobilizzazione possa essere utilizzata e i costi sostenuti per portare il cespite nel luogo e nelle condizioni necessarie perché costituisca un bene duraturo per la società.
Nel caso dei fabbricati, vi rientrano, a titolo esemplificativo:
– i costi notarili per la redazione dell’atto di acquisto;
– le tasse per la registrazione dell’atto di acquisto;
– i costi riferibili alla stipula dell’eventuale preliminare di acquisto;
– gli onorari per la progettazione dell’immobile;
– i costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria poste dalla legge obbligatoriamente a carico del proprietario;
– i compensi di mediazione.
In tale ottica, la spesa per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, in quanto sostenuta dal proprietario per poter svolgere la propria attività, sembra dover essere considerata come accessoria al fabbricato e, come tale, capitalizzata a incremento del costo del medesimo.
In questo modo, essendo portata in aumento del costo di un bene non ammortizzabile, la spesa in esame risulterebbe indeducibile, salvo che l’acquisto dell’immobile strumentale sia intervenuto prima del 15 giugno 1990 (art. 1 comma 1 lett. g) del DL n. 90/90, conv. n. 165/90) oppure nel triennio 2007-2009 (art. 1 comma 335 della L. n. 296/2006), vale a dire in un arco temporale nel quale era consentita la deducibilità delle relative quote di ammortamento.
Come sopra riportato, pare comunque da escludere la riconducibilità delle spese in questione tra quelle di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione, se non sono effettuati interventi edilizi. Depone in tal senso, ancora una volta, l’OIC n. 16 (§ 32), ove si afferma che sono capitalizzabili i costi “per ampliare, ammodernare, migliorare o sostituire cespiti già esistenti, purché tali costi producano un incremento significativo e misurabile di capacità, di produttività o di sicurezza dei cespiti per i quali sono sostenuti, ovvero ne prolunghino la vita utile”.