Una modifica inserita nel DL 119/2018 le riduce al 10% dell’importo trasferito in violazione
Con la conversione in legge del DL 119/2018 (c.d. “decreto fiscale”) troveranno una più ragionevole risposta sanzionatoria taluni di quei soggetti che, spesso in assoluta buona fede, negli ultimi tempi hanno ricevuto contestazioni per infrazioni relative all’utilizzo di assegni privi dell’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e della clausola di intrasferibilità per importi pari o superiori a 1.000 euro (come richiesto dall’art. 49 comma 5 del DLgs. 231/2007). Ammontare che non è stato allineato a quello previsto per l’utilizzo dei contanti (possibile per importi fino a 2.999,99 euro).
Occorre, infatti, considerare che, in esito alle modifiche apportate dal DLgs. 90/2017 (ovvero a decorrere dal 4 luglio 2017), si è registrato un consistente irrigidimento delle sanzioni in materia.
Anteriormente trovava applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria dall’1% al 40%dell’importo trasferito, fatta salva l’efficacia degli atti, con un minimo di 3.000 euro (per chi emetteva l’assegno e per chi lo riceveva); ma, in sede di oblazione ex art. 16 della L. 689/1981, era possibile chiudere il tutto con il pagamento di una somma pari al 2% dell’importo trasferito (cfr. la circ. Min. Economia e finanze 5 agosto 2010 n. 281178).
Ai sensi di tale disposizione, infatti, era (ed è) ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di 60 giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione (ciò a condizione che l’importo non sia superiore a 250.000 euro e che il soggetto non si sia avvalso della medesima facoltà per altra analoga violazione il cui atto di contestazione sia stato ricevuto dall’interessato nei 365 giorni precedenti la ricezione dell’atto di contestazione concernente l’illecito).
Oggi, invece, ai sensi dell’art. 63 comma 1 del DLgs. 231/2007, come sostituito dal DLgs. 90/2017, sempre fatta salva l’efficacia degli atti, alle violazioni in tema di assegni e contanti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 50.000 euro (per chi emette l’assegno e per chi lo riceve). L’art. 65 comma 9 del DLgs. 231/2007 conferma l’applicabilità alle violazioni in questione dell’oblazione di cui all’art. 16 della L. 689/1981, ma questa conduce ora a un raddoppio della sanzione minima di 3.000 euro ovvero a un importo dovuto pari a 6.000 euro.
Peraltro, ai sensi del nuovo art. 68 del DLgs. 231/2007, prima della scadenza del termine previsto per l’impugnazione del decreto che irroga la sanzione, il destinatario può chiedere al MEF il pagamento della sanzione in misura ridotta. La riduzione ammessa è pari a un terzo dell’entità della sanzione irrogata (l’applicazione della sanzione in misura ridotta non è ammessa qualora il destinatario del decreto sanzionatorio si sia già avvalso, nei cinque anni precedenti, della stessa facoltà).
Si tenga anche presente che, in base al nuovo art. 69 comma 1 secondo periodo del DLgs. 231/2007, per le violazioni commesse ante entrata in vigore del DLgs. 90/2017 (4 luglio 2017), sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole, “ivi compresa l’applicabilità dell’istituto del pagamento in misura ridotta”.
Ad ogni modo, nella sostanza, rispetto a tale disciplina, per assegni privi della clausola di non trasferibilità emessi per l’importo di 1.000 euro, utilizzando vecchi carnet di assegni “liberi”, si è assistito all’irrogazione di una sanzione di 3.000 euro, sia per l’emittente che per il ricevente, rispetto alla quale molti hanno evitato l’oblazione (di 6.000 euro) e proseguito nel procedimento sanzionatorio, fornendo le proprie osservazioni e confidando, quanto meno, nell’irrogazione di una sanzione più bassa dell’oblazione. Quest’ultima potrebbe ora rivelarsi la scelta appropriata.
In sede di conversione in legge del DL 119/2018, infatti, il Senato ha previsto l’inserimento, nell’art. 63 del DLgs. 231/2007, del nuovo comma 1-bis, ai sensi del quale, per le violazioni di cui all’art. 49 comma 5, l’entità della sanzione minima è pari al 10% dell’importo trasferito in violazione della predetta disposizione. Ciò a due condizioni: la violazione deve essere di importo inferiore a 30.000 euro e devono ricorrere le circostanze di minore gravità della violazione ex art. 67 del DLgs. 231/2007 (avendosi riguardo, ad esempio, a entità dell’importo, grado di responsabilità, capacità finanziaria, assenza di precedenti violazioni).
Tale regime di minor rigore è espressamente dichiarato applicabile anche ai procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore del DL 119/2018 (24 ottobre 2018). Ove la Camera dovesse confermare tale testo, allora, appare opportuno attivarsi nel richiedere la determinazione della sanzione alla luce del nuovo minimo. Successivamente si potrebbe (o almeno così sembrerebbe): pagare l’importo come determinato; ricorrere all’oblazione pari al 20% dell’importo trasferito, se più conveniente; contestare la determinazione dinanzi al giudice ordinario.