Per la Cassazione, in questo caso non è esonerato dal risarcimento il commercialista che computa erroneamente i contributi

Di Anita MAURO

Il fatto che il cliente chieda al commercialista di non calcolare correttamente i contributi non esonera il professionista dalla responsabilità contrattuale, ma la misuradel risarcimento può essere ridotta ai sensi dell’art. 1227 c.c. che contempla il “concorso del fatto colposo del creditore”.
Lo afferma la Cassazione nell’ordinanza 20 novembre 2018 n. 29846.

Il caso esaminato dalla Corte riguardava una sentenza relativa alla responsabilità contrattuale del professionista, commercialista, che aveva, su richiesta e per volontà del cliente, conteggiato in modo erroneo i contributi previdenziali dovuti dalla società, con conseguente accertamento INPS e applicazione di sanzioni. La società cliente era poi fallita e il fallimento aveva adito le vie legali per ottenere dal commercialista il risarcimento del danno causato dalla sua condotta negligente.

Il professionista si era difeso negando la propria responsabilità, facendo riferimento all’art. 50 c.p. e all’art. 5 c.c. (sul consenso dell’avente diritto), ritenendo che il comportamento tenuto dal cliente fosse sufficiente a interrompere il nesso causale tra il comportamento del commercialista e il danno.
Tuttavia, la Corte di merito non ha condiviso la tesi del professionista e ne ha riconosciuto la responsabilità, ma ha ridotto il risarcimento del 50% facendo applicazione dell’art. 1227 c.c., rinvenendo il concorso del creditore nell’inadempimento del professionista.

La Cassazione conferma la correttezza della decisione dei giudici di secondo grado e, in particolare, ricorda che l’obbligazione professionale ha natura di obbligazione di mezzi, da eseguire con la diligenza qualificata di cui all’art. 1176 comma 2 c.c. Ne deriva, secondo la Corte, che la richiesta di svolgere un’attività al di sotto di questo parametro di diligenza, anche se riconducibile al cliente creditore, non vale a esonerare il professionista dalla propria responsabilità.
Poi, però, la Suprema Corte ritiene che vada applicato al caso di specie l’art. 1227 c.c. Tale norma dispone che, se “il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”. Pertanto, sulla base di questa norma la Corte conferma la riduzione del 50% del risarcimento, tenendo conto del concorso del cliente nella realizzazione del danno.
Viene confermata, quindi, la decisione della Corte di Appello, che ha rivenuto la responsabilità del professionista per il pagamento del 50% delle sanzioni derivanti dallo scorretto computo dei contributi.

La pronuncia esprime un principio preoccupante.
La Corte sembra infatti affermare che il cliente del commercialista possa chiedere al professionista il risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale (all’obbligo di diligenza), anche ove egli stesso abbia richiesto al professionista di non adempiere “correttamente”.

Quindi, il cliente che chieda al professionista di non calcolare correttamente i contributi o di computare qualche detrazione in più potrebbe ridurre il “peso” delle sanzioni applicate dall’Agenzia (ove essa abbia individuato la violazione fiscale o contributiva e applicato sanzioni) facendo causa al professionista per inadempimento contrattuale e ottenendo il risarcimento dei danni (pari alla misura delle sanzioni e degli interessi di mora, da ridurre, secondo l’apprezzamento del giudice, ex art. 1227 c.c.).
Ove il cliente chieda al professionista di agire in violazione di una norma fiscale o contributiva, il commercialista dovrebbe rimettere l’incarico professionale o agire comunque nel rispetto della legge, contro la volontà del cliente.
Applicando il medesimo principio ad altri contratti si producono effetti paradossali: se, in un contratto di affitto, il proprietario chiede al conduttore di pagare i canoni con mesi di ritardo, a dispetto delle scadenze contrattuali, poi non può fare causa per inadempimento al conduttore.

La Corte, forse, mescola diversi piani: il piano della relazione tra cliente e professionista, legati da un rapporto privatistico e il piano delle conseguenze che la violazione delle norme fiscali può determinare per la collettività.