La norma di comportamento AIDC n. 204 rileva il disallineamento tra la normativa nazionale e quella comunitaria

Di Corinna COSENTINO

L’iscrizione al VIES costituisce una condizione soltanto formale ai fini del riconoscimento dello status di soggetto passivo IVA nei rapporti transnazionali, per cui la mancata inclusione nella banca dati non osta, di per sé, all’applicazione del regime di non imponibilità IVA nelle operazioni intracomunitarie.
È quanto affermato dall’AIDC con la norma di comportamento n. 204.
A sostegno di tale interpretazione, che risulta in contrasto con la prassi amministrativa nazionale (ris. n. 42/2012), l’AIDC richiama non soltanto il contenuto letterale della direttiva 2006/112/CE, ma anche le relative proposte di modifica e la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue.

Si rileva innanzitutto che, in ambito nazionale, l’art. 35 commi 2 e 7-bis del DPR 633/72 prevede l’iscrizione al VIES per i soggetti che intendono effettuare operazioni intracomunitarie di cui al Titolo II Capo II del DL 331/93, e dispone l’esclusione dal VIES in caso di mancata presentazione degli elenchi INTRASTAT per 4 trimestri consecutivi, nonché per i soggetti che presentano profili di rischio in tema di frodi IVA.

Tuttavia, osserva l’AIDC, la disciplina comunitaria non include, tra i requisiti per qualificare una cessione come “intracomunitaria”, il possesso del numero identificativo (art. 138 della direttiva IVA), né consente che la soggettività passiva IVA possa essere riconosciuta per il solo fatto di possedere tale identificativo.

Se è vero, infatti, che gli artt. 213 e 214 della direttiva IVA prevedono l’obbligo, per i soggetti passivi, di dichiarare l’inizio dell’attività e le successive variazioni, attribuendo agli Stati membri il compito di identificare tali soggetti mediante un numero individuale, e sebbene l’art. 17 del Reg. Ue 904/2010 stabilisca che le informazioni relative a coloro che hanno ottenuto un numero identificativo siano raccolte nella banca dati, la sussistenza della soggettività passiva rimane ancorata ai requisiti di cui all’art. 9 della direttiva medesima, ossia all’esercizio di un’attività economica in modo indipendente.

Alla luce delle disposizioni richiamate, dunque, l’iscrizione al VIES non può costituire un requisito sostanziale ai fini della soggettività passiva nell’ambito delle operazioni intracomunitarie.
D’altronde, tale interpretazione è supportata dal consolidato orientamento della Corte di Giustizia Ue (e anche da alcune pronunce della giurisprudenza nazionale), secondo cui il possesso del numero di identificazione IVA costituisce un elemento formale ai fini del riconoscimento della soggettività passiva e può incidere sulla natura dell’operazione soltanto se la sua assenza impedisce che sia fornita prova certa dei requisiti sostanziali (cfr. causa C-587/10, VSTR e C-146/05, Collée).
In particolare, con la recente sentenza Euro Tyre (causa C-21/16) è stato sancito che il regime di non imponibilità IVA di una cessione intraunionale non può essere negato per il solo motivo che al momento della cessione l’acquirente non era iscritto al VIES.

A favore della natura formale dell’obbligo in argomento, l’AIDC richiama inoltre la proposta di modifica all’art. 138 della direttiva IVA prevista nell’ambito del documento della Commissione Ue del 4 ottobre 2017, (COM(2017)569 final) la quale, secondo quanto chiarito nella relazione di accompagnamento, è volta a far sì che il numero di identificazione IVA valido del soggetto passivo costituisca una condizione sostanziale aggiuntiva per l’esenzione (leggasi “non imponibilità”) nelle cessioni intracomunitarie.
Tale modifica confermerebbe indirettamente che, nell’attuale contesto normativo, il possesso del numero identificativo non condiziona il regime applicabile alle cessioni intracomunitarie.

Poiché il nuovo requisito viene previsto limitatamente alle cessioni di beni, senza nulla specificare in merito alle prestazioni di servizi, l’AIDC sottolinea la differenza esistente tra le due tipologie di operazioni con riferimento ai presupposti che giustificano l’esenzione nei rapporti transnazionali.
In particolare, a differenza di quanto previsto per le cessioni di beni, l’esenzione accordata alle prestazioni di servizi in forza del principio generale di tassazione nello Stato di destinazione si applica alle operazioni sia con controparti Ue che extra Ue. In tale contesto, qualora l’iscrizione al VIES divenisse un requisito essenziale ai fini dell’esenzione, le controparti Ue sarebbero destinate a sopportare un onere maggiore rispetto a quelle extra Ue.

L’AIDC conclude, dunque, che nell’ambito della normativa vigente la mancata inclusione nella banca dati VIES di un operatore italiano non pregiudica il suo diritto a essere considerato soggetto passivo nei rapporti transnazionali e che tale principio vale, a maggior ragione, per le prestazioni di servizi, in quanto il controllo basato sull’incrocio degli identificativi VIES e sulle dichiarazioni INTRASTAT nella normativa unionale e nazionale ha valenza limitata alle cessioni di beni transfrontaliere.