Proposta la causa di non punibilità per chi, prima della notizia di reato ed entro sei mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente
Il disegno di legge dedicato alle misure per il contrasto dei reati contro la Pubblica Amministrazione, che sarà portato oggi all’attenzione del Consiglio dei Ministri, prosegue nella strada del contrasto alle attività corruttive che negli ultimi anni ha portato a diverse riforme delle fattispecie penali, nonché alla previsione di una serie di strumenti anche di carattere preventivo e organizzativo.
Basti pensare alla imponente riforma operata dalla L. 190/2012 che, oltre a intervenire sui reati di corruzione e di concussione previsti nel codice penale, ha previsto l’introduzione – all’art. 2635 c.c. – del delitto di “corruzione tra privati” e ha contestualmente creato un complesso sistema di “compliance” per pubbliche amministrazioni ed enti partecipati, oggi affidato alla vigilanza dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Ulteriori modifiche e aggiustamenti si sono susseguiti negli anni successivi e le misure ora in esame tornano ad essere di stampo prettamente penalistico e punitivo.
Gli interventi proposti incidono in particolare sul piano sanzionatorio o delle conseguenze processuali. Innanzitutto si vuole innalzare ulteriormente (dopo l’aggravamento operato dalla L. 69/2015) la pena per la corruzione impropria, cioè quella prevista dall’art. 318 c.p. per il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa: i limiti edittali della reclusione potrebbero ora passare dall’intervallo 1-6 anni all’intervallo 3-8 anni. Pena da innalzare anche per il delitto di traffico di influenze (art. 346-bis c.p.), con l’effetto che anche per questo reato si potranno usare le intercettazioni.
Centrali divengono le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità a contrattare con la Pubblica Amministrazione. Le condanne per corruzione, concussione, peculato, traffico di influenze causeranno l’interdizione temporanea o perpetua dai pubblici uffici. Allo stesso modo, viene previsto per i casi più gravi, il “divieto in perpetuo di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio”. Si vuole connettere tale misura anche ad alcuni reati contro la P.A., ai reati associativi e ad alcuni reati ambientali se commessi a danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa.
Parimenti, la sospensione condizionale della pena e la riabilitazione potrebbero non avere effetti sulla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici e su quella della incapacità a contrarre in perpetuo con la Pubblica Amministrazione. Di particolare severità appaiono proprio le modifiche in materia di riabilitazione (artt. 178–181 c.p.) che, estinguendo le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, è un istituto volto al pieno reinserimento sociale del condannato e rappresenta oggi un diritto dell’interessato connesso principalmente al trascorrere del tempo e alla buona condotta di costui.
Le pene accessorie potrebbero, inoltre, incidere sulla disciplina del “patteggiamento” per i reati contro la P.A., tramite alcune modifiche all’art. 444 c.p.p.
Da notare la proposta di introdurre – dopo l’art. 322-bis c.p. dedicato alle circostanze attenuanti per i reati contro la pubblica amministrazione – una speciale causa di non punibilità per colui che prima dell’iscrizione a suo carico della notizia di reato e, comunque, entro sei mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili (salvo che la denuncia sia premeditata rispetto alla commissione del reato denunciato).
La non punibilità del pubblico ufficiale, dell’incaricato di pubblico servizio o del mediatore illecito è, comunque, subordinata alla messa a disposizione della utilità percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente ovvero alla indicazione di elementi utili a individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma.
Si evidenzia qui una prospettiva analoga a quella che ha dato vita alla L. 179/2017 in materia di tutela del “whistleblowing”, verso un’incentivazione della collaborazione attiva dei soggetti coinvolti per l’emersione delle pratiche corruttive.
Si prevede, inoltre, una disciplina “rafforzata” per i c.d. “agenti sotto copertura” tramite la modifica dell’art. 9 comma 1 della L. 146/2006.
Per quanto riguarda la corruzione tra privati e l’istigazione alla corruzione tra privati viene proposta l’eliminazione della procedibilità a querela (artt. 2635 comma 5 e 2635-bis comma 4 c.c. ), anche alla luce dell’acceso dibattito sul punto iniziato nel 2012 con la prima introduzione di tale fattispecie e proseguito nell’ambito della recente riforma del DLgs. 38/2017.