Lo schema di DLgs. della direttiva ATAD elimina, dal 2019, il riferimento alla tassazione nominale, non conforme agli standard internazionali

Di Luisa CORSO e Gianluca ODETTO

Lo schema di DLgs. di recepimento della direttiva 2016/1164/UE (c.d. direttiva ATAD) riscrive la disciplina CFC, modificandone i presupposti di applicazione e riducendo a una sola le ipotesi di esenzione.

Sotto il profilo della decorrenza, le modifiche in parola troverebbero applicazione dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 (con impatto, quindi, per la prima volta, sui modelli REDDITI 2020); non sono, inoltre, previsti periodi transitori di applicazione.

Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, l’art. 167 del TUIR, interamente sostituito dall’art. 4 dello schema di decreto, individua le persone fisiche, le società di persone, i soggetti IRES residenti, nonché le stabili organizzazioni italiane di società non residenti che controllano soggetti esteri.

Ai fini della qualifica di soggetti “controllati” non residenti è necessario, in alternativa, che si verifichi il controllo diretto o indiretto anche tramite fiduciaria o interposta persona ai sensi dell’art. 2359 c.c. o che oltre il 50% della partecipazione ai loro utili sia detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. o tramite fiduciaria o interposta persona.

Analizzando più nel dettaglio le condizioni al ricorrere delle quali operano le CFC rules, il decreto adotta, tra gli approcci previsti dalla direttiva, il c.d. approccio transactional, o per categorie di reddito, il quale attribuisce rilevanza, nell’applicazione della disciplina, alla presenza di redditi rientranti nella categoria dei c.d. passive income, a prescindere dal fatto che si tratti di società extra-Ue o di società comunitarie. Tale approccio è preferito a quello alternativamente proposto dalla direttiva e volto a valorizzare la sussistenza di “costruzioni non genuine” poste in essere allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

La formulazione dell’art. 167 del TUIR attualmente in vigore prevede, anche in assenza di effettiva distribuzione, l’imputazione per trasparenza dei redditi prodotti da imprese, società o enti:
– situati in Stati a regime fiscale privilegiato (CFC “black list”), tale se il livello nominale di tassazione della partecipata è inferiore al 50% di quello italiano;
– ovunque situati, ma che presentino congiuntamente due condizioni, attinenti il conseguimento di proventi derivanti per più del 50% dai c.d. “passive income” e l’assoggettamento a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia (CFC “non black list”).

In base al testo dell’art. 167 riformulato dallo schema di decreto, le disposizioni CFC opererebbero se, congiuntamente:
– i soggetti controllati residenti sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti se residenti in Italia;
– oltre un terzo dei proventi da essi realizzati rientra in una o più delle categorie di redditi qualificati come passive income (si tratta di interessi, royalties, dividendi, redditi da leasing finanziario, redditi da attività assicurativa, bancaria o altre attività finanziarie, nonché redditi da operazioni di cessione di beni o prestazioni di servizi a scarso valore economico aggiunto con soggetti correlati).

L’impostazione adottata, che attribuisce rilevanza alla tassazione effettiva del Paese di localizzazione, estende, nella sostanza, il regime attualmente previsto per le CFC “non black list” a tutte le società partecipate estere (fatta salva la soglia di un 1/3, anziché del 50%, dei passive income), e quindi anche a quelle con riferimento alle quali il regime attuale attribuisce, invece, rilevanza al livello di tassazione nominale; il nuovo approccio si pone in linea con l’orientamento internazionale, il quale prevede che l’individuazione dei soggetti CFC sia effettuata sulla base del livello di tassazione effettivo o sulla base di “liste nere”.

La nuova formulazione dovrebbe restringere l’ambito applicativo del regime CFC, escludendo automaticamente dalla disciplina antielusiva le società partecipate che, pur con un livello di tassazione effettiva molto basso, realizzino per la maggior parte (almeno due terzi) proventi derivanti da attività industriali e commerciali, nonché (come già avviene ora) le società partecipate che, pur producendo passive income, presentano un livello congruo di tassazione effettiva.
Ulteriore modifica attiene poi la previsione della sola esimente dello svolgimento di un’attività economica sostanziale mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.

Rispetto alla formulazione attualmente vigente verrebbe eliminata la previsione per cui al fine di disapplicare la disciplina CFC, il socio residente può dimostrare che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato. Tale esimente ha trovato, ad oggi, scarso utilizzo stante le difficoltà, sotto il profilo pratico, della relativa dimostrazione.