Il rimedio sicuro sembra essere il ricorso contro la cartella di pagamento
Ora che l’Agenzia ha approvato il provvedimento 28 agosto 2018 n. 195385, con cui è stata data attuazione, dal prossimo 29 ottobre, alla procedura di sospensione e successivo blocco delle compensazioni contenenti profili di rischio, bisogna interrogarsi sulla tutela del contribuente.
Si può condividere quanto sostenuto nel corso di Telefisco 2018, secondo cui lo scarto della delega di pagamento dà luogo a un omesso versamento ravvedibile ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 472/97.
Ma il contribuente ben può ritenere non corretto lo scarto, allora due, in sostanza, possono essere i mezzi di tutela.
Ormai da decenni la giurisprudenza è assestata nel ritenere l’elenco degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del DLgs. 546/92 suscettibile di interpretazione estensiva.
Alla luce di alcuni precedenti, si può ragionevolmente affermare che la comunicazione di scarto potrebbe rappresentare un atto impugnabile (cfr. Cass. 8 aprile 2014 n. 8214, ove si è ritenuto impugnabile il diniego di correzione del codice tributo inserito nel modello F24).
Che la comunicazione di scarto sia impugnabile non significa però che essa debba essere impugnata, o meglio, che il ricorso contro la stessa sia la soluzione migliore.
Se lo scarto del modello F24 ha come effetto un omesso versamento, molto probabilmente ciò darà luogo alla liquidazione automatica e alla successiva notifica della cartella di pagamento.
Tale atto, essendo soggetto ai termini decadenziali dell’art. 25 del DPR 602/73, che in alcun modo possono essere sospesi, dovrà essere emesso nonostante l’annullamento giudiziale non definitivo della comunicazione di scarto. Il problema, in questi termini, si pone tra l’altro per gli avvisi bonari, ormai riconosciuti impugnabili dalla giurisprudenza: pena una violazione dei diritti dell’Erario ingiustificata, l’annullamento dell’avviso bonario, non definitivo, non può inibire la notifica della cartella, perché se così fosse si formerebbe la decadenza.
Si può tuttavia sostenere che, in ragione dell’annullamento dell’avviso bonario e del fatto che, dopo il decreto 156 del 2015, le sentenze sono a tutti gli effetti immediatamente esecutive, sia inibita ogni azione esecutiva e cautelare.
Comunque, il contribuente dovrà impugnare ulteriormente la cartella di pagamento e se, nel contempo, fosse già stata impugnata la comunicazione, forse nemmeno potrebbe censurare il merito (Cass. 13 luglio 2017 n. 17294, interessante sentenza sui nessi tra autonomia degli atti impugnabili e impugnazione facoltativa).
Allora, tanto vale ricorrere contro la cartella di pagamento, salvo situazioni particolari da contestualizzare.
Per non parlare, poi, delle implicazioni, talvolta impossibili da gestire, tra ricorso contro la comunicazione di scarto e contro la cartella, ove, in primo grado o in appello, il ricorso contro la comunicazione di scarto ben potrebbe essere dichiarato inammissibile per difetto di atto impugnabile. Se, infatti, si può ragionevolmente sostenere che tale comunicazione, in ragione della giurisprudenza di legittimità, sia impugnabile, i giudici di merito potrebbero essere di diversa opinione (prova è il fatto che, in merito all’impugnabilità del diniego di interpello nel sistema ante DLgs. 156/2015, si assiste a un contrasto tra giurisprudenza di merito e di legittimità).
In sede di ricorso contro la cartella di pagamento, salvo si ritenga “necessariamente” impugnabile la comunicazione di scarto, il contribuente, pena una lesione dell’art. 24della Costituzione, deve poter sollevare ogni censura sulla legittimità dello scarto del modello F24, difendendosi eccependo la legittimità della compensazione e/o l’insussistenza dei profili di rischio.