Dell’illecito penale risponde solo l’autore materiale del fatto
L’introduzione del principio di specialità nell’ordinamento tributario, espressione dell’autonomia che caratterizza il processo penale e quello tributario, è volta a evitare ingiustificati cumuli sanzionatori.
L’art. 19 del DLgs. 74/2000 dispone che, laddove uno stesso fatto sia punito sia a titolo di reato sia a titolo di sanzione amministrativa, occorre applicarsi la sola disposizione speciale.
Il successivo comma prevede un’ipotesi derogatoria, valevole per taluni i soggetti, nei cui confronti permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa.
La norma, nel richiamare espressamente, infatti, l’art. 11 comma 1 del DLgs. 472/97, fa riferimento a persone fisiche, società, associazioni o enti (con o senza personalità giuridica) nell’ipotesi in cui il dipendente, il rappresentante legale o negoziale o l’amministratore (anche di fatto) agiscano nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, prevedendo una responsabilità personale a titolo sanzionatorio per i menzionati soggetti.
In queste ipotesi, in capo al contribuente (la società, l’associazione o l’ente) permane la responsabilità amministrativa, rimanendo egli vincolato al pagamento in via solidale, nel caso in cui la violazione abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo, di una somma pari alla sanzione irrogata.
L’ambito applicativo della norma è stato ridimensionato in ragione dell’art. 7 del DL 269/2003, a mente del quale, nelle società e negli enti dotati di personalità giuridica, le sanzioni relative a rapporti tributari a loro inerenti rimangono in via esclusiva a loro carico, senza che le persone fisiche, autori materiali del fatto, possano essere chiamate a risponderne.
Detto altrimenti, solo in capo alla persona giuridica vengono contestate le sanzioni amministrative tributarie, mentre le persone fisiche rispondono penalmente per l’illecito eventualmente commesso (c’è stata quindi una parziale abrogazione implicita dell’art. 11 sopra richiamato).
In tale contesto, è interessante analizzare l’applicazione di quanto appena descritto nella vicenda sottoposta alla Cassazione 3 marzo 2017 n. 5432, in cui un rappresentante di una società di capitali era stato sottoposto a procedimento penale per il delitto di omesso versamento IVA (art. 10-ter del DLgs. 74/2000), conclusosi con una sentenza di patteggiamento ex art. 444c.p.p.
La società, visto l’esito penale, chiedeva l’annullamento delle sanzioni amministrative, invocando il principio di specialità.
Chiamata a dirimere la questione, la Cassazione sottolinea che l’art. 19 comma 2 del DLgs. 74/2000, nel far permanere la responsabilità per la sanzione amministrativa in capo a determinati soggetti purché non siano persone fisiche concorrenti nel reato, si riferisce a soggetti che siano dotati di personalità giuridica.
Dall’applicazione della citata norma deriva la responsabilità dei soggetti dotati di personalità giuridica a prescindere dalle vicende giudiziarie riguardanti i rappresentanti. Dunque, nel caso di specie, la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti del rappresentante della società, riguardante le medesime violazioni di norme tributarie, non può portare all’annullamento della sanzione amministrativa nei confronti dell’ente.
La sentenza di patteggiamento emessa nei confronti del legale rappresentante acquista un valore autonomo in ambito tributario non solo sul piano del trattamento sanzionatorio, ma altresì sul versante probatorio a carico della società.
Un caso emblematico si è verificato in occasione della pronuncia della Corte di Cassazione n. 24587 del 3 dicembre 2010.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità avevano rigettato la tesi, fatta propria dalla Commissione tributaria regionale, secondo cui, ai fini della prova a carico di una società, la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti del legale rappresentante della società medesima per gli stessi fatti oggetto della pretesa tributaria era da considerarsi irrilevante.
La Corte, invece, pur ribadendo che la sentenza di cui all’art. 444 c.p.p. non ha valore di giudicato nel rito tributario, ha evidenziato che essa costituisce un indiscutibile argomento di prova che il giudice tributario è chiamato a valutare.
La pronuncia compie un ulteriore passo in avanti: infatti, qualora il giudice intenda disconoscerne il valore, egli è chiamato a illustrare le ragioni per le quali l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità dinnanzi al giudice penale.