Anche Assonime ritiene preferibile questa interpretazione: lo stesso vale per le operazioni fuori campo

Con la circolare n. 12 pubblicata ieri, Assonime interviene sul tema delle modalità di recupero dell’IVA indebitamente addebitata nel quadro del rapporto di rivalsa, alla luce dei recenti interventi legislativi.

Mediante l’art. 30-ter del DPR 633/72, introdotto dalla L. 167/2017, si è riconosciuto, per la prima volta in modo espresso, il diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA indebitamente versata (che, in passato, veniva ricondotto all’art. 21 del DLgs. 546/92).
La successiva L. 205/2017, invece, ha modificato l’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97, riconoscendo al cessionario la detrazione dell’IVA applicata dal cedente in misura superiore, con applicazione della sola sanzione fissa (da 250 a 10.000 euro). Restano fuori dalle nuove norme i casi di frode fiscale.

Sin dai primi commenti, si è osservato che il nuovo impianto IVA appare apprezzabile, perché introduce una disciplina ad hoc del recupero dell’IVA indebita, tuttavia, le novelle discipline recano in sé anche nuove problematiche, destinate ad acuire i futuri dibattiti tra la giurisprudenza, la prassi amministrativa e gli studiosi del diritto.
In questo contesto è intervenuta Assonime, con la circolare in commento.

Assonime ricorda che la matrice comunitaria dell’IVA si sostanzia nell’esigenza che il tributo resti neutrale nei confronti degli operatori economici e che, a tal fine, è necessario garantire il funzionamento corretto della rivalsa e della detrazione.
Il meccanismo, però, rischia di essere compromesso, con ripercussioni sulla neutralità, ogni qual volta la rivalsa abbia a oggetto un’imposta non dovuta, perché l’imposta è stata applicata a operazioni esenti, non imponibili o escluse, o più semplicemente perché applicata con aliquota maggiore del dovuto.

Viene rammentato che gli strumenti predisposti dal legislatore per ovviare a questi squilibri (ossia, la nota di variazione ex art. 26 DPR 633/72 e la procedura del rimborso anomalo ex art. 21 del DLgs. 546/92) non sempre sono risultati adeguati, neanche a livello europeo, nel quale la Corte di Giustizia ha sollecitato un intervento legislativo (cfr. caso EU Pilot 9164/17 TAXU).
Il primo intervento in questa direzione è riconducibile all’introduzione dell’art. 30-ter comma 1 del DPR 633/72, che di fatto rappresenta la trasposizione dell’art. 21 del DLgs. 546/92, consentendo al soggetto passivo (sia esso cedente o cessionario) di recuperare l’indebito chiedendo quindi il rimborso all’Erario.

Maggiori difficoltà, invece, pone il comma 2 dell’art. 30-ter, che richiede la restituzione dell’IVA indebita solo al ricorrere di due presupposti: l’esistenza di un accertamento definitivo e la restituzione al cessionario dell’IVA indebita (momento dal quale decorrerà il termine di decadenza di due anni per la domanda di restituzione).
Per Assonime l’accertamento definitivo potrebbe riguardare tanto il cedente, quanto il cessionario.
L’accertamento nei confronti del fornitore potrebbe essere, ad esempio, quello in cui viene richiesta a questo l’imposta di registro, nei casi in cui è stata indebitamente applicata l’IVA.

Non viene affrontato il tema del ravvedimento operoso

La soluzione si presta a critiche, in quanto l’unica ipotesi nella quale il comma 2 potrebbe verificarsi sembrerebbe il caso in cui il cessionario abbia portato in detrazione l’IVA, indebitamente applicata in via di rivalsa dal cedente, per operazioni esenti, non imponibili o escluse e abbia subito, per questa ragione, un accertamento che lo ha costretto a restituire l’intero all’Erario.

Il secondo intervento, in ordine cronologico è rappresentato dal nuovo diritto di detrazione dell’IVA indebita ex art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della norma Assonime, pur riconoscendo che il problema non è di facile soluzione, ritiene proferibile interpretarla nel senso di ammettere la detrazione in tutte le ipotesi di IVA indebita (ossia, errore di aliquota, operazioni esenti, non imponibili, escluse).
In tal senso, anche la circolare Guardia di Finanza 13 aprile 2018 n. 114153, secondo cui l’art. 6 comma 6 riguarderebbe le operazioni esenti e non imponibili; tuttavia, le Fiamme Gialle non prendono in considerazione l’ipotesi delle operazioni escluse.