Rileva se il contribuente professionista che la redige, per la rivalutazione delle partecipazioni, ha con colui che la firma interessi in comune
Se un commercialista, volendo usufruire della rivalutazione delle partecipazioni ex art. 5 della L. 448/2001, redige egli stesso la perizia di stima richiesta dalla norma e, poi, la fa solo firmare ad un collega, con cui è in rapporti di debito-credito, l’Amministrazione può contestare la validità della perizia, con conseguente decadenza dall’agevolazione fiscale, anche ove la perizia non presenti falsità nel contenuto, in quanto essa non rispetta comunque i requisiti di legge, che impongono oggettività, imparzialità e disinteresse valutativo nel redattore. Questo è il principio desumibile dall’ordinanza n. 13636 della Cassazione, depositata ieri.
Il caso oggetto della pronuncia presenta alcuni caratteri particolari, che meritano di essere evidenziati in quanto potrebbero circoscrivere l’impatto della decisione.
Nel caso di specie, infatti, un commercialista, dopo aver redatto egli stesso la perizia di stima richiesta dall’art. 5 della L. 448/2001 per la rivalutazione delle proprie partecipazioni sociali, la fa firmare ad un collega, con il quale, però, è legato da rapporti non solo professionali, ma anche di tipo illecito, in quanto essi risultano poi coinvolti in un procedimento penale per ripartizione di compensi professionali rinvenienti da incarichi giudiziari.
L’Agenzia delle Entrate disattende la rivalutazione di cui alla citata perizia giurata, ritenendo che questa fosse stata redatta in presenza di una tipica causa di astensione obbligatoria del consulente tecnico, ovvero la sussistenza di debiti o crediti tra le parti, nonché gravi ragioni di convenienza (ascrivibili ai fatti di rilevanza penale).
La Commissione tributaria, però, non rinvenendo elementi di falsità o inattendibiltà nel contenuto della perizia, la riteneva valida ed efficace, sebbene vi fosse la prova, derivante da una dichiarazione resa da uno dei due professionisti nell’ambito del procedimento penale a loro carico, del fatto che la perizia fosse stata redatta dalla stessa contribuente, senza alcuna partecipazione del collega e da questo ultimo solo letta e sottoscritta.
La Suprema Corte in primo luogo, ricorda che, ove il contribuente si avvalga della facoltà di cui all’art. 5 della L. 448/2001 di rideterminare il valore delle partecipazioni sulla base della prescritta perizia giurata di stima, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate conserva il potere di accertare se la stessa corrisponda o meno alla realtà, atteso che il richiamo, operato dall’art. 5 della L. 448/2001, all’art. 64 c.p.c., non attribuisce alla perizia la forza di atto pubblico, ma ha il solo scopo di assoggettare il professionista incaricato dal privato alla responsabilità penale e civile del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice.
Pronunciandosi, poi, sull’oggetto del contendere, i giudici di legittimità affermano l’inefficacia della perizia, ma non per ragioni attinenti la violazione delle norme processuali sulle condizioni soggettive del perito (come lamentato dall’Agenzia), bensì per la violazione delle disciplina fiscale sui requisiti della perizia.
In breve, secondo la Cassazione, nel caso di specie la perizia è invalida in quanto non rispetta le condizioni richieste dalla norma fiscale per la validità della perizia di cui all’art. 5 della L. 448/2001, atteso che il modello legale è improntato a caratteri di “oggettività, imparzialità, disinteresse valutativo” assenti nel caso di specie, a causa dei rapporti sussistenti tra i due professionisti.
Così – conclude la Suprema Corte – non può ritenersi legittimamente fruito il regime agevolativo sostitutivo delle plusvalenze sulla cessione di partecipazioni, applicato sulla base di una perizia di stima che, al di là della sua riferibilità e provenienza formale, provenga da uno stimatore che non abbia operato nella posizione di terzietà ed obiettività valutativa richiesta dall’art. 64 del c.p.c., cui l’art. 5 della L. 448/2001 fa rinvio.
Anche se incensurabile nei contenuti, quindi, deve ritenersi invalida la perizia redatta dallo stesso contribuente interessato (commercialista) e poi solo riletta e sottoscritta da un terzo, se tra i due sussiste un legame, un rapporto (nel caso di specie si tratta di un rapporto di tipo illecito), che escluda il disinteresse del redattore.
Ci si potrebbe domandare se lo stesso principio possa operare anche in assenza di un rapporto illecito o economico tra i due soggetti coinvolti, ovvero ove, semplicemente, il contribuente/professionista rediga la perizia relativa alle proprie partecipazioni, senza errori o falsità di contenuto e, poi, la faccia firmare da un collega. Ma in tal caso, pur in assenza di effettiva “terzietà” del redattore, pare più difficile individuare un interesse del professionista che abbia letto e firmato, capace di privarlo della sua imparzialità, ove egli “faccia propria” la stima del collega.