Pur con tutti i suoi limiti, può costituire una lente con cui guardare al diritto con maggiore consapevolezza
Nonostante non sia più una vera novità, si parla ancora troppo poco di analisi economica del diritto. Soprattutto, ne parlano poco i giuristi, sebbene il suo ideale iniziatore sia considerato Cesare Beccaria (giurista, oltre che filosofo), e il suo moderno fondatore sia il giurista americano Guido Calabresi (unitamente al premio Nobel per l’economia Ronald Coase).
L’analisi economica costituisce un approccio innovativo al diritto civile, ma anche al diritto penale, che prova a risolvere questioni di ordine generale applicando il modello “costi-benefici”, come ad esempio nella scelta del criterio più efficiente di imputazione della responsabilità per danni oppure di calibratura delle sanzioni.
L’assunzione di fondo che sorregge il metodo è che l’individuo nel suo agire sociale è un animale razionale, che programma e decide i propri comportamenti sulla base di un calcolo differenziale tra i guadagni e le perdite che ne possono derivare. Il primo enunciato di principio è che il soggetto terrà una determinata condotta se, e solo se, il beneficio atteso è maggiore del costo atteso che vi si contrappone. In caso contrario, si asterrà dall’agire.
Si può verificare molto chiaramente come funziona lo schema a livello di posizione della norma punitiva nella scelta e nella dosatura della sanzione conseguente alla commissione di un reato. Se è vero che la prospettazione della pena esercita una “deterrenza” che tende ad avversare la deliberazione criminale (la c.d. “controspinta” nel linguaggio più tradizionale), allora essa deve essere costruita secondo il gradiente economico.
Più precisamente, come ha insegnato per primo l’economista Becker, la capacità di deterrenza di una pena (la sua efficienza secondo un criterio ottimale), è, innanzi tutto, funzione della sua entità: tanto maggiore è la sua severità, tanto minore sarà la propensione al crimine. Questo assunto, coerente con le premesse economiche, rischia, però, di condurre a conseguenze inaccettabili per il nostro ordinamento, poiché la pena massimamente efficiente diventa la pena di morte (Posner).
Nella equazione di deterrenza deve, peraltro, essere introdotto un fattore aggiuntivo. Infatti, una pena molto afflittiva, che abbia ciò nondimeno una scarsa probabilità di applicazione (per inefficienza del sistema repressivo), sconta un livello proporzionalmente basso di efficienza complessiva. Pertanto, nell’equazione deve entrare il calcolo della probabilità che l’autore del reato sia, in primo luogo, scoperto (sistema investigativo), e successivamente sconti effettivamente la pena (sistema processuale).
Se ne deduce immediatamente, in virtù del rapporto inverso che si istituisce tra i due elementi dell’equazione, che un sistema di “enforcement” efficiente (alta probabilità di applicazione effettiva della sanzione) potrà – e dovrà per ottenere l’obiettivo di ottimizzazione – permettersi un livello proporzionalmente più basso di severità della sanzione. Viceversa, la pena edittale dovrà essere fissata tanto più in alto nella scala di severità quanto meno effettivo sia il sistema repressivo.
Vanno, poi, anche prese in considerazione le “esternalità negative” (Coase), che gli economisti studiano in relazione ai fenomeni macroeconomici. Esse possono definirsi come le conseguenze non volute che si accompagnano a un certo assetto del rapporto tra interessi contrapposti, in altri termini una sorta di “danni collaterali” per la società. Così, per esempio, nell’ambito della responsabilità civile un sistema di responsabilità oggettiva, che dà la massima protezione al danneggiato, rischia di deresponsalizzare quest’ultimo, inducendolo a tenere comportamenti imprudenti.
Per contro, un sistema di responsabilità per colpa, mentre tende a evitare l’“azzardo morale” del danneggiato, nel contempo la protegge solo fino al punto in cui il danneggiante, in base alle norme cautelari applicabili, possa definirsi in colpa, lasciando non tutelate tutte le situazioni che vanno oltre, e che pure hanno determinato il danno.
A prima lettura questo approccio rigidamente quantitativo può apparire un po’ troppo meccanico e astratto, oltre a scontrarsi con la cultura umanistica che è patrimonio essenziale dei giuristi. Ciò nonostante, con tutti i suoi limiti l’analisi economica può costituire una utile lente con cui guardare al diritto con occhi diversi e più consapevoli, pur senza infatuazioni preconcette né prevaricazioni di campo.