Il reato si ripete per ogni esercizio in cui l’omissione continua, ma il dolo va provato in concreto
L’omessa ostensione di dati contabili imposti per legge, suscettibili di incidere sul patrimonio dell’impresa anche negli esercizi successivi rispetto a quello in cui i valori economici sono venuti ad esistenza, può integrare diversi reati “istantanei” di falso in bilancio, per ciascun anno di esercizio, fino al momento in cui la condotta reticente non venga a cessare.
Così la Corte di Cassazione – nella sentenza n. 21672 depositata ieri – ritiene che le false comunicazioni sociali, ex art. 2621 c.c., possano essere contestate anche in un caso in cui vengano omesse le informazioni riferibili a delle garanzie prestate dalla società in relazione ad un contenzioso pendente.
Tale disposizione (oggi riferita solo alle società “non quotate”, mentre per le “quotate” vale l’art. 2622 c.c.) prevede la punibilità sia della condotta di esposizione consapevole di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, sia di omissione (altrettanto consapevole) di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge. L’esposizione e l’omissione devono inerire alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, ed essere concretamente idonee a indurre altri in errore.
Nel procedimento portato avanti alla Suprema Corte, veniva, così, imputato il legale rappresentante di una srl per aver omesso di riportare nel conto d’ordine in calce allo Stato patrimoniale, alla voce “fondi rischi e vari”, l’importo di 1.106.389 euro, corrispondente al prezzo complessivo della vendita di appartamenti. In relazione a tali contratti di vendita, la società aveva assunto l’impegno di prestare tutte le garanzie di legge, compresa quella per evizione e il risarcimento dei danni nel caso in cui la controversia pendente avanti al tribunale amministrativo, avente ad oggetto la legittimità del permesso di costruire relativo all’immobile in cui erano siti gli appartamenti, si fosse conclusa con l’annullamento del titolo e la conseguente demolizione del manufatto.
Secondo i giudici di legittimità, lo Stato patrimoniale è chiamato a fornire una fotografia del capitale dell’azienda, non solo rappresentandone la situazione istantanea alla data del bilancio, ma evidenziando anche la provenienza e la destinazione di tale capitale. D’altra parte, il bilancio nel suo complesso deve essere redatto in ossequio ai principi di continuità, di prudenza e di competenza, proprio allo scopo di rispecchiare, in maniera fedele, la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di un’azienda destinata a protrarre la propria attività negli anni successivi.
Se così è, le informazioni societarie che hanno ad oggetto dati contabili riferibili ad entità economicamente valutabili, suscettibili di incidere sulla situazione patrimoniale dell’azienda anche negli esercizi seguenti, devono essere necessariamente riportate nei documenti che si rivolgono ai soci e al pubblico, onde consentire a costoro di compiere consapevolmente le proprie scelte nei rapporti con l’impresa.
In questa prospettiva funzionale e dinamica è indubbia – secondo la sentenza in esame – la rilevanza della corretta informazione circa l’esistenza di un credito vantato da terzi nei riguardi della società, il cui adempimento è di pertinenza degli esercizi successivi.
Tra l’altro, proprio il perdurare, o meglio, il ripetersi del medesimo reato di anno in anno, da un lato, può fondare il “medesimo disegno criminoso” ai sensi dell’art. 81 c.p. e, dall’altro, fa ripartire ogni volta il calcolo del termine di prescrizione.
Resta, tuttavia, da accertare l’elemento soggettivo doloso del reato, rappresentato dal fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nonché – nella formulazione precedente alla L. 69/2015 – dall’intenzione di ingannare i soci o il pubblico; al contempo, è esplicitamente prevista la consapevolezza delle falsità esposte e delle omissioni.
La Cassazione precisa sul punto che non è possibile limitarsi a ricavare la prova del dolo in modo implicito e diretto dal rilevante importo del dato contabile taciuto. L’elemento soggettivo non può, cioè, ritenersi provato “in re ipsa”, nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci di bilancio, né può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società: il dolo di mendacio deve, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino nel redattore del bilancio la consapevolezza del suo agire abnorme o irragionevole con artifici contabili (cfr. Cass. n. 46689/2016).
La sentenza si sofferma anche sull’accertamento di un danno patrimoniale patito dalle parti civili. Vero è che tra i soggetti che possono ricevere un nocumento dalla falsificazione delle informazioni si devono annoverare anche i creditori (cfr. Cass. SS.UU. n. 22474/2016); tuttavia, nel caso concreto, sarebbe stato necessario dimostrare il collegamento causale con la mancata ostensione in bilancio dei dati contabili relativi alle garanzie contrattualmente assunte o degli accantonamenti prudenzialmente effettuati dall’amministratore, non essendo sufficiente il mero inadempimento della garanzia per evizione.