Responsabile solo il supplente cui siano state comunicate le dimissioni del sindaco effettivo
I sindaci concorrono per omissione nel reato di bancarotta perpetrato dagli amministratori solo quando non si siano debitamente attivati nonostante l’“effettiva conoscenza” di “segnali d’allarme” relativi ai fatti delittuosi. Per poter affermare la responsabilità anche del sindaco supplente, inoltre, occorre la prova che il sindaco dimissionario gli abbia comunicato le proprie dimissioni.
Sono questi i principi che emergono dalla sentenza n. 21657 della Cassazione, depositata ieri.
Quanto alla necessità dell’effettiva conoscenza dei segnali d’allarme, quale presupposto per la responsabilità omissiva dei sindaci, la Suprema Corte addiviene a tale conclusione ripercorrendo taluni precedenti di legittimità. E, infatti, posto che il concorso dei sindaci nei fatti di bancarotta può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo (rispetto ai propri obblighi di controllo), si sottolinea come i profili maggiormente delicati si pongano sul terreno (“all’evidenza cruciale”) del riscontro dell’elemento soggettivo.
Sul tema si è stabilito che è necessaria la prova che i sindaci siano stati debitamente informati oppure che vi sia stata la presenza di segnali peculiari (sintomi di anormalità) in relazione all’evento illecito. Ciò in quanto non solo la conoscenza dell’illecito, ma anche la mera “concreta conoscibilità” dello stesso mediante l’attivazione del potere informativo comporterebbe l’obbligo giuridico di intervenire (cfr. Cass. n. 17393/2007).
La responsabilità in questione, quindi, presuppone la sussistenza di puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo finisce per esorbitare dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di una partecipazione dolosa, sia pure nella forma del dolo eventuale (Cass. n. 26399/2014).
In questa prospettiva, peraltro, si è chiarito come non sia sufficiente la presenza dei segnali d’allarme da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio che tale evento si verifichi, essendo necessario che il sindaco (o l’amministratore privo di deleghe) ne sia concretamente venuto a conoscenza e, ciononostante, abbia volontariamente omesso di assumere le necessarie contromisure (cfr.Cass. nn. 23000/2013, 32352/2014 e, soprattutto, 14045/2016, che rimarca proprio la necessità dell’“effettiva conoscenza” dei segnali d’allarme e non della “mera conoscibilità”).
Quest’ultima sentenza, poi, sottolinea anche come per dare senso e concretezza al dolo eventuale (spesso utilizzato come parametro minimo per la riferibilità psicologica di quell’evento pregiudizievole al soggetto attivo del reato) occorra considerare che un conto è che il “controllante” rimanga indifferente dinanzi a un “segnale di allarme” percepito come tale, in quanto decida di non tenere in alcuna considerazione l’interesse dei creditori o il destino stesso della società. Altra cosa è che egli continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri; ovvero che per colpevole – ma non dolosa – superficialità venga meno agli obblighi di controllo su di lui effettivamente gravanti, accontentandosi di informazioni insufficienti su un’operazione che gli viene sottoposta per l’approvazione senza che egli si renda davvero conto delle conseguenze che ne potrebbero derivare.
A fronte di tutto ciò, comunque, la decisione in commento osserva come la sentenza di condanna della Corte d’Appello, nel caso in esame, non avesse puntualmente individuato né i “segnali d’allarme” relativi ai fatti delittuosi, né l’“effettiva conoscenza” di essi da parte dei sindaci. Essa, infatti, si era limitata alla mera contestazione di omessi controlli (del conto cassa gestione corrente e circa l’uso delle vetture e dei macchinari della società). Ma tali circostanze possono dar conto di una condotta negligente, non idonea a sostenere un giudizio di sussistenza del dolo (anche solo eventuale) della fattispecie omissiva.
Quanto alla posizione del sindaco supplente, la decisione di merito ne fondava la condanna sul rilievo che i fatti distrattivi si erano verificati in epoca successiva alle dimissioni di uno dei sindaci effettivi; momento dal quale doveva ritenersi che il sindaco supplente fosse subentrato immediatamente al posto del primo. La Cassazione ritiene scorretta tale conclusione dal momento che l’“automatismo” del subentro del sindaco supplente a quello titolare dimessosi presuppone pur sempre la comunicazione al primo delle dimissioni del secondo (si ricorda, al riguardo, che nei criteri applicativi della Norma di Comportamento CNDCEC n. 1.6, “Cessazione dell’ufficio”, è precisato come sia opportuno che la rinuncia avvenga per iscritto e che la relativa comunicazione sia indirizzata – con qualsiasi mezzo che consenta la certezza della ricezione, anche attraverso la conferma da parte dei destinatari – all’organo amministrativo e ai componenti effettivi e supplenti del collegio sindacale).
Comunicazione che i giudici di merito del caso di specie non accertavano, limitandosi ad affermare la mera inverosimiglianza della sua mancanza.
Per entrambi i profili, quindi, la decisione d’appello è annullata.