La giurisprudenza, tuttavia, spesso trascura il ruolo delle Convenzioni internazionali
La prima operazione da effettuare nell’ambito della gestione della dichiarazione di persone fisiche con interessi all’estero è rappresentata dalla valutazione della residenza fiscale. Questa valutazione si rivela, infatti, decisiva alla luce dei noti principi per cui, fatti salvi gli effetti delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, i residenti sono tassati in Italia per i redditi ovunque prodotti, mentre i non residenti sono tassati in Italia solo per i redditi che si considerano prodotti in Italia secondo le disposizioni dell’art. 23 del TUIR.
La decisione, che presuppone spesso analisi di una certa “invasività” nelle informazioni (anche, e spesso soprattutto, di natura personale) da richiedere al soggetto, è normalmente più delicata nel momento in cui gli interessi nei confronti dell’estero iniziano, o hanno termine, nel periodo d’imposta oggetto di dichiarazione: il caso classico è rappresentato dalla persona che cessa un’attività lavorativa per iniziarne una oltreconfine, o che al contrario ritorna in Italia dopo avere svolto un periodo lavorativo all’estero. Non di rado, però, analisi più approfondite sono necessarie anche in altre situazioni: un cittadino straniero che vive e ha una famiglia in Italia, ad esempio, pur avendo interessi economici all’estero, in molti casi può rivestire la qualifica di residente fiscale italiano, con gli obblighi che conseguono a questo status.
In termini generali, l’art. 2 comma 2 del TUIR riserva la residenza fiscale italiana alle persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno in Italia il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile; con riferimento al 2017, quindi, la cancellazione entro il 1° luglio dall’anagrafe italiana e l’iscrizione all’AIRE, se accompagnate dalla contestuale perdita di residenza e domicilio italiano, sono idonei a qualificare il soggetto come non residente in base alla norma interna.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, sussistono conflitti di doppia residenza, derivanti dalla circostanza per cui lo Stato estero considera la persona un proprio residente in base alla sua normativa interna e l’Italia fa altrettanto in base alla propria. Il caso tipico è quello della persona emigrata all’estero per lavoro ma che, per diversi motivi (non da ultimo una mera inerzia) non si è mai iscritta all’AIRE. In questa situazione, il conflitto di doppia residenza è risolto attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni che, se redatte secondo i criteri OCSE, assegnano la residenza in primis in base al criterio dell’abitazione permanente (di rado, però, decisivo) e in secondo luogo accertando il luogo dove è situato il centro degli interessi vitali; in questo contesto, per fare un esempio molto semplice, la situazione di una persona sposata e con figli, mantenuti in Italia al di là dell’attività lavorativa all’estero, è molto diversa da quella di una persona single, per la quale è più semplice presumere che lo spostamento fisico all’estero comporti un parallelo spostamento nell’altro Stato del centro degli interessi vitali, specie se le attività e i redditi di fonte italiana diversi da quelli legati all’attività lavorativa sono modesti.
Per i soggetti che non si sono cancellati dall’anagrafe della popolazione residente i rischi di contestazione risultano, quindi, più elevati, ed è necessario in sede di difesa evidenziare che le disposizioni delle Convenzioni prevalgono sulla normativa interna: il principio, che si rinviene nell’art. 75 del DPR 600/73, è pacifico, ma è bene ricordare che in alcune decisioni di giurisprudenza (da ultima, la sentenza della Cassazione n. 21970/2015), esso è stato inopinatamente disatteso: la decisione citata, che presenta la grave lacuna di non considerare il ruolo delle Convenzioni (nella fattispecie, quella con la Romania), ha infatti portato a considerare residente in Italia un soggetto per il solo fatto della mancata cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente.
Una particolare attenzione deve, poi, essere posta per le Convenzioni che, via via, entrano in vigore. Se, ad esempio, un soggetto non iscritto all’AIRE vive a Panama, lo Stato italiano ha titolo a considerarlo un proprio residente fiscale sino al 2017, non essendovi Trattati in vigore per quell’anno che possano dirimere il conflitto di residenza; al contrario, l’entrata in vigore della Convenzione dal 2018 offre una protezione significativa a questa persona, la quale ha titolo a considerarsi dal 2018 un non residente agli effetti dell’imposizione italiana per il semplice fatto di non avere un’abitazione permanente in Italia (primo criterio previsto dal Trattato) o se, in presenza di abitazioni permanenti in entrambi gli Stati, il centro dei propri interessi vitali è all’estero.
La residenza fiscale va, da ultimo, attentamente valutata per i soggetti che intendono beneficiare di regimi agevolativi (nuovi residenti, lavoratori impatriati ecc.), le cui norme istitutive fanno esclusivo riferimento alla residenza così come determinata a norma dell’art. 2 del TUIR, escludendo quindi dai benefici i cittadini italiani emigrati all’estero ma mai iscrittisi all’AIRE: l’Agenzia delle Entrate ha interpretato la norma in modo letterale nelle proprie circolari, anche se questa linea non sembra insuperabile in sede contenziosa, vista la sua scarsa sistematicità.