Per la Cassazione, esclusa ogni responsabilità del professionista che rinuncia all’incarico per incompletezza della documentazione
Sull’amministratore di una società incombe l’obbligo di controllare l’operato dei consulenti a cui viene affidata la tenuta della contabilità. Pertanto, costui non può andare esente da responsabilità per bancarotta documentale, ai sensi degli artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942, nel caso in cui affidi la contabilità a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, dipendenti o liberi professionisti.
La delega o l’affidamento dell’incarico professionale non lo esonera, infatti, dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati o dai consulenti ed esiste una presunzione semplice – superabile solo con una rigorosa prova contraria – del fatto che i dati siano trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa o dal legale rappresentante (si veda, di recente, Cass. n. 5357/2018).
Tale principio consolidato viene ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 20798 depositata ieri.
All’amministratore unico di una srl veniva contestato, a seguito dell’avvenuto fallimento della società, di non aver tenuto la contabilità in modo da rendere possibile la corretta ricostruzione del volume d’affari e del patrimonio dell’ente in questione.
Va ricordato, in proposito, che l’art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942 prevede infatti la punibilità per colui che ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. L’art. 223 del medesimo decreto richiama la medesima norma per fondare la responsabilità di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite.
Nel caso in esame, la corte territoriale aveva evidenziato che solo dopo sei mesi dalla rinuncia dell’incarico del precedente professionista, l’amministratore aveva provveduto alla nomina di un nuovo commercialista e che tale nuova nomina coincideva con il periodo immediatamente successivo all’istanza di fallimento.
Il professionista precedentemente in carica aveva, inoltre, rinunciato all’incarico proprio per la mancata completa e tempestiva consegna delle scritture contabili, contestando formalmente non solo il mancato pagamento del proprio corrispettivo, ma anche la difficoltà di ottenere la documentazione necessaria per svolgere l’incarico. Anche a fronte di ciò, i giudici di merito avevano escluso si potesse rinvenire in capo a costui alcuna forma di responsabilità concorrente nel reato.
In ogni caso, anche se le carenze relative alla corretta tenuta della contabilità avessero potuto imputarsi al professionista, non sarebbe venuto meno l’obbligo dell’amministratore di occuparsi della loro regolarità. La presunzione semplice – di cui si è detto – non può essere, peraltro, superata dalle difficoltà economiche addotte nel caso di specie dall’imputato, ovvero dai problemi di salute di costui, essendo questi elementi non idonei a provare l’incolpevole impossibilità di assicurare la regolare tenuta della contabilità.
La Cassazione ribadisce, inoltre, che una tale condotta rientra nel reato di bancarotta fraudolenta e non di bancarotta semplice.
È vero che l’art. 217 del RD 267/1942 – richiamato in ambito societario dall’art. 224 del medesimo decreto – prevede anche i casi in cui, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, il fallito non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta; tuttavia, mentre nella bancarotta semplice l’illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie e ai libri prescritti dalla legge, l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi.
In quest’ultima ipotesi si richiede, altresì, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, elemento, invece, estraneo al fatto tipico descritto dal citato art. 217.
Può essere utile ricordare in proposito che generalmente l’elemento soggettivo che deve sorreggere la bancarotta fraudolenta è il dolo specifico consistente nello “scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori”; tuttavia si discute da più parti se sia sufficiente il dolo generico (cfr. Cass. n. 15837/2013, che ammette anche la forma del dolo eventuale).