Il passaggio sulla base della L. 218/1990 non preclude la responsabilità degli amministratori della società insolvente per le distrazioni precedenti
La dichiarazione di insolvenza di una spa bancaria conferitaria dell’azienda di un ente pubblico economico (una Cassa di Risparmio) in forza della L. 218/1990 – c.d. Legge Amato-Carli – e del successivo provvedimento di attuazione (DLgs. 356/1990), determina la rilevanza penale, in termini di bancarotta, delle condotte che si assume essere state distrattive o dissipatrici da parte di soggetti che hanno governato l’istituto di credito, seppure poste in essere in epoca anteriore al conferimento. Questa importante precisazione è contenuta nella sentenza n. 18517/2018 della Cassazione.
Si ricorda, innanzitutto, come, in relazione al conferimento di un’azienda bancaria in un’altra, ai sensi della L. 218/1990 e del DLgs. (attuativo) 356/1990, sia stato chiarito che esso non comporta una successione universale – e, quindi, né l’estinzione, né l’incorporazione della conferente – ma il solo trasferimento dell’azienda stessa, così configurando, sotto il profilo processuale, una ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, disciplinata dall’art. 111 c.p.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 185/1998). Ciò vale anche nel caso, come quello di specie, in cui l’ente conferente di una azienda bancaria in una spa sia una Cassa di Risparmio (cfr. Cass. n. 17586/2005).
Al di là di questo principio generale, inoltre, è stato sottolineato come, in tema di società, ogni specie di trasformazione comporti il solo mutamento formale di una organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente che si distingua dal precedente. L’ente trasformato, quindi, seppure consegue la personalità giuridica di cui era sprovvisto, non si estingue per rinascere sotto altra forma, né dà luogo ad un centro di imputazione di rapporti giuridici, ma sopravvive alla vicenda modificativa senza soluzione di continuità e senza perdere la sua identità soggettiva.
Tale principio è applicabile anche alle società bancarie risultanti dalle trasformazioni o dalle altre operazioni di cui all’art. 1 della L. 218/1990 (fusioni e conferimenti), che succedono nei diritti, nelle attribuzioni e nelle situazioni giuridiche dei quali gli enti originari erano titolari in forza di leggi o di provvedimenti amministrativi, ex art. 16 del DLgs. 356/1990, sostituendosi pertanto agli enti preesistenti (cfr. Cass. nn. 6573/1998 e 2008/2006).
Analoghi principi emergono altresì nelle sentenze che hanno esaminato la portata dell’art. 58 del DLgs. 385/1993 (cfr. Cass. n. 18258/2014). In particolare, si è affermato che, in caso di cessione di azienda bancaria, alla cessionaria si trasferisce anche l’obbligazione sanzionatoria solidale già sorta per effetto dell’illecito compiuto dai soggetti ad essa appartenenti (cfr. Cass. n. 2523/2017).
Il principio per cui la successione fra i due enti è qualificabile come successione a titolo particolare sorta da una cessione di azienda, quindi, non rende impossibile configurare una responsabilità degli amministratori della spa bancaria in ordine alle condotte illecite realizzate, dai medesimi soggetti, durante la gestione della Cassa di Risparmio.
Tale soluzione trova conferma proprio nella decisione di legittimità (Cass. n. 13765/2007) intervenuta sull’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci della spa bancaria del caso di specie anche per le condotte tenute nella gestione della Cassa di Risparmio.
In tale decisione, infatti, si è stabilito che il conferimento, ai sensi degli artt. 1 e 16 del DLgs. 356/1990, di un’azienda bancaria (Cassa di Risparmio) in una spa determina la successione a titolo particolare della totalità dei crediti dell’azienda trasferita da parte della società conferitaria senza esclusione di quelli derivanti dal diritto al risarcimento dei danni provocato al patrimonio aziendale dalla mala gestio degli organi amministrativi e di controllo dell’ente conferente, in quanto componenti della universitasaziendale.
Analoghe conclusioni, inoltre, valgono analizzando il problema sotto un profilo più strettamente penalistico. La pronuncia della Cassazione n. 6904/2017 ha stabilito che, in tema di reati fallimentari, nell’ipotesi di fusione di società per incorporazione, l’amministratore della società incorporante risponde dei fatti di bancarotta della società incorporata, in quanto detta fusione è frutto della scelta degli organi societari delle società partecipanti, tenuti a valutare il complesso dell’operazione anche sotto l’aspetto del rischio derivante dalle condizioni finanziarie negative della società incorporata e la possibilità della società incorporante di farvi fronte per evitare la verificazione dello stato di dissesto.
Ed a tali conclusioni si perviene osservando, da un lato, come attribuire effetti impeditivi della responsabilità penale a soluzioni di continuità formali nella successione fra soggetti comporterebbe l’introduzione di una anomala forma di estinzione delle fattispecie penali, che priverebbe di tutela i creditori sociali, e, dall’altro, come la valutazione della responsabilità penale debba seguire le consuete regole di attribuibilità delle condotte, senza essere condizionata dai fenomeni successori eventualmente verificatisi.
Analogamente, la Cassazione n. 4400/2018, nel decidere della rilevanza penale dei fatti commessi nella gestione di società incorporate mai dichiarate fallite, ha precisato come si debba verificare se l’operazione di fusione abbia natura reale e non meramente fittizia, valorizzando l’elemento della continuità fra le società coinvolte, che non appare incompatibile con la riferibilità della dichiarazione di insolvenza anche sulla società incorporata. E, quindi, conclude la Suprema Corte, se talune condotte – che realizzano un distacco di beni dal patrimonio societario per finalità estranee a quelle imprenditoriali – rappresentano un pericolo concreto per gli interessi dei creditori, è proprio il trasferimento del patrimonio nel suo complesso che rende rilevanti, anche per il nuovo soggetto subentrato nelle posizioni giuridiche (attive e passive) del precedente, gli effetti della condotta distrattiva realizzata prima del subentro, perché continua ad esporre a pericolo le ragioni dei creditori del nuovo soggetto.