La responsabilità dell’ente potrebbe essere esclusa solo dimostrando l’efficace attuazione di modelli organizzativi e la nomina di un OdV
In materia di sicurezza sul lavoro, il legislatore ha predisposto un sistema di norme a contenuto cautelare, la cui inosservanza è anche penalmente sanzionata attraverso autonome figure contravvenzionali di pericolo contenute nel DLgs. 81/2008. Oltre a ciò, il codice penale disciplina le più gravi violazioni in materia di sicurezza sul lavoro attraverso specifiche fattispecie delittuose contenute nel codice penale (artt. 437, 451, 589, 590 c.p.).
Infine, l’art. 25-septies del DLgs. 231/2001 stabilisce la responsabilità dell’ente stesso laddove si verifichino un omicidio o delle lesioni colpose conseguenti alla violazione di norme antinfortunistiche.
A fronte della morte di un dipendente precipitato da un’altezza di dodici metri per lo sfondamento di una lastra di vetro resina posta sul tetto di un capannone ove costui si era portato per effettuare la manutenzione delle grondaie, con la pronuncia n. 16713/2018 la Cassazione ha confermato la responsabilità del legale rappresentante (datore di lavoro), del preposto e della società stessa in cui è avvenuto il fatto.
La sentenza si sofferma innanzitutto sulle questioni della posizione di garanzia del datore di lavoro, dell’individuazione di un nesso di causalità e dell’idoneità delle eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato (o comunque, come nel caso di specie, ad altro dipendente) a interrompere, ai sensi dell’art. 41 comma 2 c.p., tale nesso tra l’omissione colposa di un garante e l’evento che ne è derivato.
Le condanne vengono confermate, richiamando quell’orientamento per cui le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all’esercizio dell’attività lavorativa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti a eventuali disaccortezza, imprudenza e disattenzione da parte del lavoratore subordinato (Cass. n. 4361/2015).
Con particolare riferimento al preposto, viene evidenziato il fatto che costui aveva dato disposizioni al dipendente di eseguire i lavori di sistemazione delle grondaie, benché quest’ultimo non avesse mai ricevuto adeguata formazione, né fosse mai stato informato dei rischi specifici connessi allo svolgimento di attività particolarmente pericolose, come quelle che si effettuano in quota (art. 19 lett. b) del DLgs. 81/2008).
D’altra parte, la Cassazione ritiene violato anche l’art. 148 del medesimo decreto ove prevede che, prima di procedere all’esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego.
Le argomentazioni della Corte si soffermano, poi, sulla responsabilità della società per la c.d. “colpa dell’organizzazione” (condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria di 258.230 euro).
Va ricordato che l’art. 5 del DLgs. 231/2001 individua i criteri di imputazione oggettiva dell’ente nel fatto che i reati siano commessi nell’interesse o vantaggio, anche non esclusivo, dell’ente e da persone che rivestano funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o gestione (anche di fatto) oppure da dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti prima indicati.
Ciò pone chiaramente un problema rispetto alla compatibilità tra fattispecie di reato caratterizzate dalla non volontarietà dell’evento (i delitti colposi di evento) e il finalismo della condotta da cui scaturisce la responsabilità dell’ente, nel cui interesse o vantaggio quei reati devono essere stati commessi.
La sentenza in commento precisa, tuttavia, che – per evitare “risultati assurdi, incompatibili con la volontà di un legislatore razionale” – i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico. È, infatti, ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio (cfr. Cass. SS.UU. n. 38343/2014 e Cass. n. 31003/2015).
Si può parlare di “interesse”, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele sia l’esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione, ma di una scelta orientata a risparmiare sui costi. Ricorre, invece, il “vantaggio” quando vengano violate sistematicamente le norme prevenzionistiche e venga perseguita una politica d’impresa disattenta alla sicurezza del lavoro, consentendo un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.
In tali ipotesi, pertanto, la responsabilità dell’ente potrebbe essere esclusa soltanto dimostrando l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi (per i quali soccorre il disposto dell’art. 30 del DLgs. 81/2008) e l’attribuzione a un organismo autonomo (OdV) del potere di vigilanza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati, ai sensi dell’art. 6 del DLgs. 231/2001.