Soprattutto in presenza di «segnali d’allarme», non possono limitarsi a quanto riferito dai delegati nel CdA

Il sistema della responsabilità degli amministratori privi di deleghe, come disegnato dai nuovi artt. 2381 e 2392 c.c., costruisce l’obbligo di vigilanza di questi non più come avente ad oggetto “il generale andamento della gestione”, da intendersi come controllo continuo ed integrale sull’attività dei delegati, ma richiedendo loro, sulla base della diligenza esigibile fin dal momento dell’accettazione della carica, di essere informati e di informarsi, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali, traendone le relative conseguenze.

Si tratta, quindi, di un obbligo di informazione sia passiva che attiva, nonché di conseguente attivazione, che è teso a scongiurare eventuali condotte dannose per la società da parte degli organi delegati, e che è definito come “dovere di agire informato”. Dovere che si presenta particolarmente rigoroso nel contesto delle banche, in ragione del coinvolgimento degli interessi protetti dall’art. 47 Cost., la cui rilevanza pubblicistica incide sull’interpretazione delle disposizioni del codice civile, dal momento che la diligenza richiesta ai gestori risente della “natura dell’incarico” affidato ed è commisurata alle “loro specifiche competenze”.

Sono queste le principali precisazioni fornite dalla Cassazione, nella sentenza n. 9973, depositata ieri, relativa ad un ricorso presentato avverso una sanzione amministrativa comminata dalla Banca d’Italia all’amministratore non esecutivo di una SGR, in ragione del suo mancato attivarsi a fronte di irregolari operazioni di gestione dei fondi della società e di carenze nell’organizzazione e nei controlli interni. Tutto ciò alla luce di taluni importanti precedenti della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra gli altri, Cass. nn. 22848/201517799/2014 e 2737/2013).

Ai sensi del nuovo art. 2392 c.c., per configurare responsabilità sociale omissiva degli amministratori non esecutivi occorre, accanto alla condotta d’inerzia, al fatto pregiudizievole antidoveroso altrui e al nesso causale tra i medesimi, l’elemento della colpa. Si è, infatti, esclusa ogni possibilità di ricondurre la responsabilità degli amministratori non esecutivi alla mera carica ricoperta, ancorandola, più esplicitamente, all’elemento della colpa.

Questo elemento può ravvisarsi o nell’inadeguata conoscenza del fatto altrui oppure nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento dannoso. Sotto il primo aspetto, la colpa dell’amministratore non esecutivo può consistere nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui gestione illecita. Segnali che, comunque, devono essere percepibili con la diligenza richiesta per lo svolgimento della carica. Ed, infatti, solo la responsabilità omissiva dolosa presuppone la “conoscenza effettiva” del fatto illecito o del reato in corso di esecuzione quale elemento essenziale della fattispecie; l’imputazione per colpa, invece, si limita ad esigere la mera “conoscibilità” dell’evento per il tramite della conoscibilità di “sintomi” o “segnali” di allarme.

Sotto il secondo aspetto, invece, la colpa dell’amministratore non esecutivo consiste nel non essersi utilmente attivato al fine di evitare il prodursi dell’evento dannoso; egli, dunque, anche per tale profilo, non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale ed in ragione della mera “posizione di garanzia” ricoperta, ma solo in presenza di un difetto di diligenza.

Nel contesto dell’illecito colposo, quindi, emerge la centralità del concetto di “conoscibilità”. Come evidenziato, infatti, non si richiede la conoscenza dei segnali d’allarme generati dall’altrui gestione inadempiente, ma la loro concreta conoscibilità. Questa non si valuta avendo esclusivo riguardo ai flussi informativi richiesti dall’art. 2381 c.c. ovvero facendo riferimento ai soli canali formali o predeterminati. L’individuabilità dell’evento negli illeciti colposi può scaturire anche (e, persino, in contrasto con le informazioni rese dall’amministratore o dagli amministratori esecutivi) da segnali comunque inequivocabili e, dunque, percepibili con l’ordinaria diligenza da parte dell’amministratore non operativo. Ed anche in tali casi sussiste l’obbligo giuridico di intervenire per impedire il verificarsi dell’evento, integrandosi, in caso contrario, una concausa del danno.

In pratica – sottolinea la Suprema Corte – agli amministratori privi di deleghe è richiesto non solo di non essere passivi destinatari delle informazioni rese spontaneamente dai delegati, ma anche di assumere l’iniziativa di richiedere informazioni. Tale attivismo deve concretizzarsi, in particolare, quando emergono quegli aspetti problematici, tendenzialmente definiti come “segnali di pericolo” o “sintomi di patologia”, che sono “indici rivelatori” o “campanelli di allarme” del fatto che un illecito è stato posto in essere, o sta per essere posto in essere, dagli organi delegati.

Una volta emersi simili aspetti, gli amministratori non esecutivi, in quanto titolari di un potere-dovere di richiedere informazioni, devono attivare tutte le possibili fonti conoscitive, che non possono ragionevolmente esaurirsi nelle informazioni rese in seno al CdA dai delegati. Contestualmente, peraltro, occorre intraprendere tutte le iniziative, rientranti nelle proprie attribuzioni, finalizzate ad impedire il concreto verificarsi degli eventi dannosi.