Responsabilità esclusa se si prova la tenuta della condotta dovuta o l’impossibilità di provvedere

Sono legittime le (rilevanti) sanzioni amministrative comminate a sindaci di banche che, in presenza di posizioni creditorie deteriorate e a rischio, in relazione alle quali non erano stati effettuati particolari approfondimenti ai fini dell’erogazione di ulteriori crediti, nonché di gravi disfunzioni gestorie delle quali erano venuti a conoscenza, si limitano a una formale e burocratica presa d’atto e all’effettuazione di controlli ex post solo su alcune circoscritte posizioni, senza procedere, invece, ad adeguati approfondimenti sui lacunosi criteri adottati nella procedura di erogazione dei crediti, a segnalazioni all’Autorità di vigilanza o alla promozione dell’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli organi sociali inadempimenti.
Attraverso tali omissioni, infatti, i sindaci contribuiscono colposamente ad attività che possono condurre alla sottocapitalizzazione e al default della società, ove rimanga priva di un patrimonio adeguato alla copertura dei rischi assunti.
Sono queste le principali indicazioni desumibili dalla sentenza n. 9517/2018 della Corte di Cassazione.

Alla base di ciò si pone la rilevanza che, in materia di sanzioni amministrative, presenta la condotta (nella specie, omissiva) colposa, nonché la sua presunzione.
La mancata attivazione – quale situazione tipica in numerose fattispecie di illeciti amministrativi disciplinate dal DLgs. 385/1993 (c.d. “TUB”) – mentre può risultare incompatibile con una situazione connotata da assenza di “effettiva rappresentazione” degli illeciti da impedire, è perfettamente compatibile con una loro “rappresentabilità” e, dunque, con la colpa. L’inosservanza dei doveri di informazione-sorveglianza vale, quindi, a legittimare la comminatoria di una sanzione “colposa” laddove seguano illeciti degli “organi vigilati”, poiché non occorre la prova che il “garante primario” (nella specie, i sindaci) conoscesse in concreto ogni aspetto dell’attività posta in essere dai secondi, essendo viceversa sufficiente la sola “potenzialità di conoscenza”, legittimamente destinata a presumersi.

Né, rispetto a tali assunti, può presentare rilievo l’esistenza di una articolazione complessa della struttura organizzativa societaria. I componenti del collegio sindacale di un banca, infatti, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo, gravando su di essi, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti degli atti di abuso gestionali degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della concessione delle linee di credito, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia, quale autorità di tutela del settore del credito (cfr. Cass. SS.UU. n. 20934/2009).

Così operando – sottolinea la Suprema Corte – non si imputa ai sindaci una responsabilità per il “sospetto” del compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri soggetti, né si sottopongono gli organi amministrativi a un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma si pretende dai sindaci l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge gli riconosce.
L’attribuzione di illeciti per omesso o tardivo esercizio dei doveri di vigilanza è incentrato sulla mera condotta, secondo un criterio di doverosità, che fonda il giudizio di colpevolezza su parametri normativiestranei al dato puramente psicologico.
In particolare, l’indagine sull’elemento soggettivo dell’illecito è limitata all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, che è neutra proprio sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa; con la conseguenza che, in mancanza di indizi visibili da cui inferire l’atteggiamento colpevole, una volta integrata e provata la fattispecie tipica dell’illecito, la colpa è presunta ex art. 3 della L. 689/1981 (per evitare impraticabili e defatiganti indagini di tipo introspettivo dal punto di vista dell’accertamento processuale) e grava sul trasgressore l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass. SS.UU. n. 20930/2009 e Cass. n. 6037/2016).

E, quindi, l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, che deve fornire la prova della condotta illecita. E ciò può essere fatto anche con presunzioni semplici. Per effetto di esse, peraltro, nel caso di illecito omissivo, va a ricadere sui sindaci l’onere di fornire la prova di avere tenuto la condotta attiva richiesta, ovvero della sussistenza di elementi tali da renderla inesigibile. Diviene, quindi, possibile dare la prova di fatti impedienti, cioè che la piena osservanza dei doveri di controllo non sarebbe comunque servita a conoscere ed evitare le condotte trasgressive altrui; ma deve trattarsi di fatti non smascherabili attraverso gli ordinari “flussi informativi” (Cass. SS.UU. n. 20930/2009). Oppure è possibile provare che l’inosservanza dell’obbligo di comunicare senza indugio e in modo completo le irregolarità riscontrate sia dipesa da impossibilità dovuta a caso fortuito o forza maggiore (Cass. n. 3251/2009).