Depone a favore, secondo la Cassazione, la natura prodromica rispetto all’avviso di accertamento
L’art. 1 della legge n. 311/2004 (commi da 421 a 423) dispone che attraverso l’avviso di recupero l’Amministrazione finanziaria procede alla riscossione dei crediti indebitamente impiegati, anche in compensazione (art. 17 del DLgs. 241/1997).
Si osserva generalmente che gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta costituiscono manifestazione di una volontà impositiva dell’ufficio e assumono, pertanto, natura sostanzialmente “accertativa” di una pretesa tributaria ormai definita.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, costantemente ribadito la sostanziale equiparazione tra l’atto di recupero del credito di imposta e l’avviso di accertamento, anche ai fini dell’applicazione del termine previsto dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 (Cass. 7 aprile 2017, n. 9087; Cass. 9 luglio 2014, n. 15634), nonché la possibilità che gli atti in parola siano oggetto di ricorso giurisdizionale (Cass. 7 marzo 2018, n. 5422). Qualora l’ufficio al termine della propria attività di verifica negasse la fruizione del credito d’imposta – essendo, tra l’altro, l’avviso di recupero il primo atto impositivo notificato al contribuente – è dunque consentito proporre il ricorso.
Con ordinanza del 14 marzo 2018 n. 6347, la Corte di Cassazione ritorna, sia pure brevemente e con motivazione stringata, sul tema della natura giuridica degli avvisi di recupero del credito IVA e delle garanzie procedimentali del contribuente. La sentenza si annota, in particolare, per i due “principi” in essa racchiusi, sui quali è necessario soffermarsi in questa sede.
Si osserva che l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale non si estende anche agli avvisi di recupero, che conseguono ad un controllo automatizzato, finalizzati alla rilevazione dell’erronea utilizzazione di un credito IVA.
Inoltre, si osserva che l’avviso di recupero ha natura “prodromica” all’avviso di accertamento e non, invece, “consequenziale”. Ne consegue che l’omessa adozione dell’atto accertativo non incide sulla legittimità della pretesa, né sul diritto di difesa del contribuente, atteso che anche l’avviso di recupero è del pari motivato con riferimento alle ragioni giuridiche ed ai presupposti di fatto dell’azione di recupero.
Le argomentazioni addotte a sostegno di questo intervento non appaiono convincenti, né in linea con la recente giurisprudenza di legittimità.
Gli avvisi di recupero hanno natura equivalente a quella accertativa e non si esauriscono in un mero atto di riscossione-liquidazione delle imposte.
In tal senso appare, come si è osservato, l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, che in tempi recenti è giunta altresì a ritenere che il contribuente possa usufruire della procedura di “adesione all’avviso” ex art. 6, comma 2 del DLgs. 218/97 (cfr. Cass. 31 marzo 2017 n. 8429; si veda “Adesione anche per gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta” del 19 maggio 2017).
Le conseguenze di questa premessa appaiono evidenti.
In primo luogo, l’avviso di recupero non può avere natura “prodromica” e/o “consequenziale” all’avviso di accertamento, semmai potrebbe discutersi di natura “sostitutiva” all’atto accertativo (dal quale non si distingue quanto alla sostanza). Sotto questo profilo, può ben dirsi che l’argomentazione espressa nella sentenza che qui si commenta non pare condivisibile.
In secondo luogo – ma il profilo appare strettamente connesso alla precedente osservazione – trattandosi di atti (l’avviso di recupero e l’avviso di accertamento) sostanzialmente coincidenti, dovrà trovare applicazione anche la disciplina procedimentale dell’accertamento ed in particolare la possibilità di dialogare preventivamente con il contribuente, al fine di definire la pretesa, prima di accedere al contenzioso (che, a rigore di logica, dovrebbe rappresentare la strada residuale).
A maggiore ragione, il contraddittorio preventivo dovrebbe essere l’antecedente necessario laddove l’avviso di recupero fosse emesso a seguito di un controllo automatizzato, meramente cartolare e privo di indagini specifiche. Non si esclude, quindi, che il paventato mutamento d’indirizzo espresso nella sentenza in commento, resti una posizione isolata rispetto alla prevalente giurisprudenza di legittimità.