Per la Consulta sono infondate le questioni di legittimità: i giudici non devono applicare la «regola Taricco» sul calcolo stabilita dalla Corte Ue
I giudici non sono tenuti ad applicare la “regola Taricco” sul calcolo della prescrizione, stabilita dalla Corte di Giustizia Ue per le frodi gravi relative all’IVA: per i reati commessi prima di tale pronuncia rimangono certamente applicabili gli artt. 160 e 161 c.p.
Così la Corte costituzionale ha reso noto, con un comunicato pubblicato ieri sera, di aver ritenuto infondatele questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Cassazione e dalla Corte d’appello di Milano sul presupposto che la “sentenza Taricco” fosse applicabile nei giudizi in corso, in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale e, in particolare, con il principio di legalità in materia penale sancito dall’art. 25 Cost.
Va, infatti, ricordato che la Corte di Giustizia Ue si è pronunciata, con la sentenza dell’8 settembre 2015 relativa alla causa C-105/14, sulla incompatibilità con il diritto dell’Unione europea della normativa italiana sulla prescrizione dei reati che riguardano le frodi IVA.
In particolare, i giudici di Lussemburgo hanno dichiarato che la normativa italiana in materia di prescrizione del reato – come stabilita dal combinato disposto degli artt. 160 ultimo comma (come modificato dalla L. 251/2005) e 161 c.p. – è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri, poiché ostacola la possibilità di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.
Il limite di prolungamento dei termini di prescrizione introdotti dalla L. 251/2005 (fino al massimo di un quarto, nel caso di una loro interruzione) comporta, infatti, un concreto rischio di non vedere applicata la sanzione, anche in casi in cui l’azione penale sia stata tempestivamente esercitata; e ciò – secondo tale pronuncia – crea ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano le norme comunitarie nell’ambito IVA.
I giudici nazionali venivano, pertanto, chiamati a disapplicare tali norme, in virtù del rispetto degli obblighi imposti dai Trattati Ue (con particolare riferimento all’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE).
Non sono mancate le immediate reazioni della giurisprudenza italiana a fronte di tale presa di posizione con effetti potenzialmente dirompenti.
In particolare, la Corte d’Appello di Milano, con un’ordinanza del 18 settembre 2015, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sull’art. 2 della L. 130/2008, con cui si dà esecuzione nell’ordinamento italiano al TFUE, in ragione del contrasto di tale norma con l’art. 25 comma 2 Cost., laddove comporta l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare una norma anche nel caso di effetti sfavorevoli per l’imputato (come il prolungamento del termine di prescrizione).
Anche la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha deciso di sollevare la questione di costituzionalità sull’art. 2 della L. 130/2008 (Cass. n. 28346/2016).
La Corte costituzionale è stata, così, invitata a pronunciarsi sui c.d. “controlimiti”, rispetto all’ordinamento europeo, a difesa dei principi costituzionali della legalità e della irretroattività della legge penale (oltre che di riserva di legge, dal momento che veniva di fatto chiesto ai singoli di giudici di valutare la compatibilità di una norma nazionale rispetto agli obblighi comunitari).
Nel tentativo di evitare un conflitto netto tra giurisdizioni e una possibile dichiarazione di illegittimità nei confronti di norme convenzionali e pattizie, con la sentenza n. 24/2017 la Consulta ha ritenuto opportuno sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di Giustizia sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE, in modo che tenesse conto di tali principi; a ciò è effettivamente seguita una ulteriore decisione della Corte europea che ha recepito in parte le istanze dei giudici italiani (causa C-42/17).
Alla luce di questo articolato dialogo tra corti, i giudici costituzionali, riuniti ieri in camera di consiglio, hanno evidenziato che sono oggi venuti meno i presupposti di possibile incostituzionalità avanzati dalla Cassazione e dalla Corte d’appello milanese.
Con la sentenza “Taricco bis”, infatti, l’art. 325 del TFUE non viene più ritenuto applicabile né ai fatti anteriori all’8 settembre 2015, né quando il giudice nazionale ravvisi un contrasto con il citato principio di legalità.
Non si può negare, tuttavia, che persistano numerose criticità in materia di prescrizione, che difficilmente possono essere risolte in via interpretativa, richiedendo – come da ultimo ha evidenziato la stessa Corte Ue – un intervento espresso del legislatore nazionale.